Il 22 ottobre 1866, anche a Nocera fu istituito il cimitero, fino ad allora i morti venivano seppelliti nella Chiesa di San Francesco, fu aperto ricavato in Campo d’Arata, nel fondo detto Sorrentino di proprietà della Chiesa di San Giovanni Battista.
Per costruirlo ci vollero tre anni, dal 1883 al 1886.
Il nuovo cimitero fu benedetto da don Vincenzo Ruffa, parroco di Nocera e poi di San Mango d'Aquino (dove morì il 29 agosto del 1924).
Don Vincenzo Ruffa fu accompagnato da Francesco Pontieri, al tempo seminarista e che poi sarebbe diventato a sua volta prima parroco e poi arciprete a Nocera.
Il nuovo cimitero, fu nuovamente ampliato dopo circa 30 anni, l'Amministrazione Comunale espropriò nello stesso fondo un altro pezzo di terra per ingrandirlo. I lavori furono condotti dalla ditta di Francesco Cabano.
Il collaudo fu effettuato il 14 gennaio 1925.
Il cimitero fu benedetto, insieme alla vecchia cappella, da don Francesco Pontieri, arciprete di Nocera, assistito da un altro sacerdote, don Federico Niccoli.

Negli anni '70 e '90 il cimitero ebbe altri due ampliamenti ed infine nel 2011 un altro ampliamento, con una parte costruita ex novo sontuosa e amplissima.

Ripercorriamo anche quello che era il modo di vivere "il lutto" a Nocera che si riallaccia a vecchi riti, così come si svolgevano nell'antica Grecia o a Roma.
Le donne naturalmente si vestivano tutte di nero, un colore che poi non avrebbero smesso per tutto il resto della loro esistenza.
Si scioglievano i capelli sulle spalle, si cospargevano la testa di cenere di legno e si sedevano ai lati della bara, da dove difficilmente si sarebbero più mosse.
Piangevano ininterrotamente per ore, inveendo al destino e declamanto le virtù del morto.
Tutte si graffiavano il viso con veemenza e senza paura. <<S’è rascata chi Ddiu>>, si commentava. Ossia: <<Oh Dio quanto si è graffiata>>. Restavano così dei solchi sanguinanti. <<Scalasciu miu...>>, dicevano tutte, in ogni casa, in ogni lutto. Con questo termine si voleva significare che era arrivata la disgrazia più immane e senza rimedio. Proprio come quando nell’Iliade Achille si abbandonò al dolore per la morte dell’inseparabile amico Patroclo. Tali modi di manifestare il dolore si sono protratti fino agli Anni “70.

Nella prima metà del 1900 si ricordano alcune caratteristiche.
In chiesa, a corroborare la mestizia, ci pensava don Vincenzo Cavaliere che, accompagnandosi con l’organo, cantava con voce baritonale e severa il “Dies irae”.
Si accompagnavano le bare fino al cimitero a piedi. E, quando ancora i carri funebri non c’erano o bisognava farli venire da Nicastro, il feretro era portato a spalle.
A volte, persone più ricche, chiamavano anche la banda musicale del maestro Adolfo Maletta (fin quando questa è esistita) che accompagnava il funerale con le sue note (“in primis” la struggente “Ione” del Petrella che si suona generalmente durante la processione della Madonna Addolorata) dalla Chiesa di San Giovanni alla “Fontana della Testa”.

 

Le informazioni storiche sono tratte da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" di Adriano Macchione (ed. Ma.Per.)

 

 

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