In una deposizione rilasciata nel 1611 dall’anziano priore fra Marco da Gaeta e riportata da Antonio da Paterno in “Cose notabili occorse particolarmente nella Provincia di Cosenza” si può leggere un’altra storia molto particolare risalente al 1589.
Il priore racconta di un gentiluomo di Nocera proprietario di un terreno sul quale passava la conduttura dell’acqua che giungeva al convento. Questi aveva molto in antipatia i frati al punto di mormorare sempre qualche frase offensiva maledicendo il giorno e l’ora in cui essi erano giunti al paese. I frati sentivano e sopportavano con pazienza aspettando che la “divina paterna mano” cambiasse il comportamento del nemico. La “divina mano” non tardò ad intervenire. Iniziò per il gentiluomo una lunga serie di disgrazie alle quali, nel giro di un mese, si aggiunse la perdita della moglie, del figlio e della madre. A quel punto, sentendo il “tocco” della “mano” stendersi contro di lui, chiamò i frati e in ginocchio, piangendo, riconobbe le sue colpe, promise un buon comportamento, chiese di essere perdonato e che i frati pregassero il Signore e S. Francesco affinché gli fosse tolta “di sopra la mano ultrice”. Già un altro gentiluomo pochi giorni prima era stato castigato da Sant’Agostino perché offendeva i suoi frati e ora S. Francesco castigava lui. Per lo stesso motivo i frati accolsero le richieste benignamente e pregarono il Signore per quel loro nemico che poi divenne amico e benefattore più di quanto gli era stato nemico.
Questo il racconto di Antonio da Paterno:
“Il P,re fra Marco da Gaeta laico vecchio d’anni trentadui nella religione, con giuramento riferisce qualmente circa gli anni del Signore 1589 stando lui di famiglia nel nostro luogo di Nocera, era in detta Terra un gentil’uomo, il quale, perché passava per la sua possessione l’acqua che veniva al luogo dei frati, era tanto concitato contro i poveri frati, et gl’havea presi così soprastomaco, che non faceva mai fine di mormorare qualunque volta le veniva l’occasione, maledicendo il giorno et l’ora che i Capoccini vennero ad abitare in quella Terra. Le quali tutte cose i frati sentivano, et sopportavano con patientia, aspettando che la divina paterna mano correggesse un loro sì aperto nemico; la quale invero non fu tarda, ma in maniera si stese sopra il capo del suddetto gentil’huomo, che oltre infinite disgratie, toccandolo più al vivo, in un mese li fè perdere con la morte i suoi più
cari, cioè la moglie, il figlio, et la madre; qual tocco risentendo il misero, et chiamati li frati, piangendo et lagrimando, si buttò inginocchioni innanzi a loro, dicendo: P.ri, dico la mia colpa dell’ingiurie et offese fattivi per l’addietro, vi prometto buona emenda per l’avvenire, piacciavi perdonarmi et pregare il Signore, et il P.re S. Francesco che mi levi di sopra la mano ultrice; già un altro gentil’huomo fu castigato da S. Agostino, pochi giorni fa, perché offendeva i suoi frati; adesso S. Francesco flagella me, perché son stato nemico dei frati suoi. Li frati l’accolsero benignamente, et pregorno di buon cuore il Sig.re per quello loro adversario, il quale per l’avvenire divenne molto divoto et benefattore dei frati, né
li fece per il passato tanto male, quanto per l’avvenire li fece del bene”.
Le informazioni storiche sono tratte da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" Vol. 2 - Sotto il dominio spagnolo di Adriano Macchione (ed. Ma.Per.)