Antonio da Paterno era un frate Cappuccino vissuto tra il XVI e il XVII secolo.
Nel 1611 ebbe l’incarico di raccogliere le notizie relative ai Conventi e all’Ordine della provincia di Cosenza. Morì a Corigliano nel 1614.
Nello stesso 1611, in
“Cose notabili occorse particolarmente nella Provincia di Cosenza”, riporta una testimonianza fornita nel 1588 dai noceresi Marco Aurelio Procino (dottore in fisica) e da suo fratello Virgilio (dottore in legge) in merito ad un rapimento subito dal loro padre, Antonio Procino, procuratore della fabbrica del convento.
Questi i fatti. Antonio Procino, contando molti concorrenti e nemici, fu fatto rapire da qualcuno di costoro che offrì ad alcuni fuorusciti 300 scudi, per chiedere un riscatto di mille scudi e poi ucciderlo. Il rapimento fu messo in atto e il procuratore portato in un bosco vicino Corica, a circa 18 chilometri da Nocera. Allora i suoi familiari si raccolsero in preghiera e ancor di più pregarono i Padri Cappuccini del convento. Dopo nove giorni di sequestro, fra Bernardino Spagnuolo mandò il Padre Guardiano a casa di Antonio Procino per avvisare i suoi familiari che non dovevano più soffrire e di non versare i mille scudi perché, nel giro di tre giorni, il loro congiunto sarebbe ritornato a casa libero. Così fu, Antonio Procino fu liberato e dopo tre giorni, come detto, tornò a casa. E da lì a poco, furono arrestati gli autori del misfatto.
Questo il racconto di Antonio da Paterno:
“Il sig.r Marco Aurelio Procino Dottor fisico, et il sig.r Virgilio suo fratello Dottor di legge, in verità della loro coscientia riferiscono qualmente circa l’anno del Sig.re 1588, essendo il loro padre, per nome il sig.r Antonio Procino della Terra di Nocera, Procuratore della fabbrica del nostro monasterio della Terra suddetta, avendo molti emuli et inimici, istigarono alcuni fuorusciti con offrirli trecento scudi, che prendessero questo sig.r Antonio nostro Procuratore, e dopo averlo composto di mille scudi l’uccidessero, acciò che essi lo danneggiassero nella robba e nella vita. In effetti fu preso il sig.r Antonio dai fuorusciti, et portato ben dodici miglia lontano da Nocera sua Patria, e collocato dentro una selva di nome Corica. Per il grande accidente, tutta la casa andava sossopra, non si faceva altro che oratione, oltre la provvisione del braccio secolare: ma in particolare pregavano i Padri Capoccini, che facessero oratione a Dio per la liberazione e salute d’un tanto lor devoto. Era stato nove giorni in potere dei banditi il sopradetto gentil’huomo, quando Frate Bernardino Spagnuolo, che era all’hora di famiglia in Nocera, mandò il P. Guardiano del luogo a casa sua a dirle che non occorreva che dasse tanto travaglio, né mandasse altrimenti li danari ai banditi per la composta, perché il sig.r Antonio dopo tre giorni, che sarebbe venerdì a sera se ne ritornerà a casa libero e senz’offesa. Così succedette, come il detto P.re predisse, senza caderne un jota, perché senza pagar cosa alcuna, fu dai fuorusciti lasciato andar via, e giunse a casa il terzo giorno et il venerdì a sera, conforma alla profetia suddetta: e la Maestà divina retribuì conforme ai loro meriti quei fuorusciti di quel nostro benefattore, perché da lì a pochi giorni furono tutti appiccati dalla Giustizia”.

 

Le informazioni storiche sono tratte da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" Vol. 2 - Sotto il dominio spagnolo di Adriano Macchione (ed. Ma.Per.)

 


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