LE ORIGINI
Terina fu città di grande nome, della quale riportarono notizie una miriade di scrittori, storici e geografi antichi: Licofrone, Strabone, Tucidide, Plinio, Cicerone, Plutarco, Pseudo Scimmo, Polieno, Stefano di Bisanzio, Tolomeo e altri. Sulla scorta di quanto tramandato da questi grandi scrittori, nei secoli si è scritto molto e, purtroppo, non sempre con oculatezza. Per quanto riguarda le origini della città, ecco la sintesi che più si avvicina alla verità storica.
Il centro sorse probabilmente a opera degli Ausoni e degli Enotri, le prime popolazioni che secondo Stefano di Bisanzio abitarono la Calabria nei tempi più remoti.
Poi, nel VII o VI secolo, giunsero da Troia, alla fine della guerra, marinai Greci, erranti alla ricerca di terre nuove o anche solo dispersi. Questi, secondo la tradizione nocerese, colonizzarono pacificamente il piccolo centro già nato, abitato da pastori e del quale non si conosce il grado di evoluzione raggiunto.
La prima citazione di Terina è dovuta a Licofrone, poeta tragico calcidese, vissuto nel III secolo a. C., che ne parla nel Canto IV dell’“Alexandra”. Riporta che i Greci giunti a Terina erano più precisamente ex soldati della guerra di Troia. Uomini di mare, giunti in nave. Licofrone, infatti, quando narra della morte della Sirena Ligea avvenuta a Terina, afferma che fu lì seppellita dalla gente del posto, definita “nautica”, termine che con facilità può tradursi in “marinaia” o gente di mare.
Licofrone, però, non precisa se Terina fu fondata ex novo oppure se i Greci trovarono un preesistente piccolo centro, che fu poi ampliato e rinforzato.
Un dato certo, comunque, è che Terina era una città di mare. Come si evince da Licofrone e come si è ritenuto da secoli.
Ma chi erano più precisamente i Greci che giunsero sul Piano? A seconda dei testi, Pelasgi, Tirreni o Focidesi. A proposito di quest’ultimi, siccome secondo Licofrone nell’“Alexandra” abitarono Temesa, nel 1815 lo storico francese Raoul - Rochette dedusse che, sorgendo Temesa nei pressi di Terina, i Focidesi probabilmente fondarono o abitarono anche Terina. Pare confermarlo, in verità, anche un frammento di una placca di calcare grigio rinvenuto in Focide (terra famosa in tutta la Grecia per il tempio di Delfi) nei pressi del tempio a nord del Tesoro di Sifni. Il testo non è leggibile, è molto spezzettato e senza le righe della parte iniziale e conclusiva. Secondo un’interpretazione dovrebbe riportare l’elenco delle colonie fondate per ordine del Pizia, ossia l’oracolo di Delfi. Il nome di Terina è contenuto nell’elenco.
Fin qui le linee generali. Ma esistono ancora altre tesi, sulle origini di Terina.
Secondo alcuni studiosi Terina era di origine greca perché di matrice greca è da ritenersi il mito della Sirena Ligea. Per altri, invece, la città era di origine fenicia in quanto le tre Sirene simboleggiavano tre colonie fenice (per Fenici s'intende la gente Semita giunta da Cartagine che abitò la Sardegna e la Sicilia ancor prima dell'VIII secolo, quindi prima dell’arrivo dei Greci e che, inevitabilmente, mise piede anche nell’odierna Calabria). Questa ipotesi sulla fondazione da parte dei Fenici, potrebbe essere anche veritiera ma non appare corredata da sufficienti riferimenti letterari, dalla tradizione popolare e dall’esistenza di reperti. E’ giusto ricordare, però, che sul Piano, di ordine fenicio, nei secoli scorsi fu trovato un piccolo scarabeo. Substrati fenici, inoltre, si potrebbero riscontare, nel nome del fiume Tanno (così come si chiamava in un certo periodo il fiume Grande).
Sempre rifacendosi alle origini delle Sirene, il Corcia riporta che Terina fu fondata dagli Etoli di Toante, che si erano già stabiliti anche a Temesa, in quanto l’Etolia era il luogo dove secondo la leggenda, così come afferma lo scrittore latino Luciano in “Dialoghi”, nacquero le Sirene e a esse si rendeva culto, Poi, sempre il Corcia, in un’altra opera, riprendendo il Grimaldi, osservando la definizione di Curetidi che Licofroneaveva dato alle Sirene, siccome i Cureti erano i ministri dei Cabiri di Samotracia e le origini dei loro “misteri” per pensiero unanime degli antichi era attribuito ai Pelasgi, riportò a un’origine Pelasgia anche Terina, dove, osservò, sorgeva tra l’altro uno scoglio che dal mito e dal culto di una delle tre Sirene, era detto Scoglio Ligeo o di Ligea. Quello che poi fu chiamato Pietra della Nave, ancora esistente.
QUANDO SORSE TERINA?
Sul Piano di Tirena, dopo i Greci, giunsero nel V secolo a. C., i Crotoniati. Molti storici (fra i tanti, Flegonte, Stefano di Bisanzio, Pseudo Scimno, Solino, Barrio, Lenormant, Ciaceri) ritengono che siano stati essi i fondatori di Terina. La tesi, però, in rapporto a quanto finora detto, non è del tutto precisa. I Crotoniati, infatti, furono solo nuovi colonizzatori (chissà se pacifici o meno) di un centro già esistente, tra l’altro in pieno sviluppo al loro arrivo. Lo attestano i reperti dei secoli VII e VI a. C. ritrovati sul Piano.
Dimostrano che già a quel tempo, grande o piccola che fosse, vi esisteva una città.
L’interesse di Crotone, probabilmente, fu motivato dalla gelosia e dallo spirito di emulazione verso la vicina Sibari, che sul Tirreno aveva fondato le colonie di Posidonia, Laos e Scidro. I Crotoniati, più che una loro espansione, ebbero come scopo principale equilibrare le forze nei confronti di Sibari.
C’è da rilevare, però, che nelle monete di Crotone di quell’epoca, non esistono esemplari che ricordano il rapporto tra Crotone e Terina mentre ne sopravvivono che ricordano un suo rapporto con Pandosia e Temesa. Ciò, comunque, è dovuto al fatto che la monetazione in comune tra colonizzatore e colonia è da ritenere una tradizione soprattutto achea e probabilmente non fu adottata in Terina in quanto i Greci che per primi s’insediarono sul centro originale non erano Achei. Tra l’altro, anche quando le città furono di fondazione achea, non sempre coniarono monete con un sistema comune con gli stessi Achei. Per esempio, Caulonia, pur essendo stata fondata dagli Achei e subito dopo divenuta colonia di Crotone, non ne presenta in comune con i suoi fondatori, né le sue prime monete li ricordano in alcun modo. Lo stesso dicasi di Reggio (di origine Calcidese) e Locri (di origine Ellade) che non scelsero il sistema in comune.
Anche sulla data di fondazione di Terina non sono mancati pareri diversi.
Accanto alla data dell’VIII secolo come quella della fondazione (o colonizzazione) di Terina, ne sono state indicate altre:
- Il VI secolo a. C., subito dopo la vittoria di Crotone ai danni di Sibari (510 a. C.).
- Gli inizi del V secolo a. C., il 480 a. C., in rapporto alla data delle prime coniazioni monetali della città oppure il periodo che va dal 472 al 460 a. C. ritenendo la nascita della città una “contromossa” di Crotone verso Locri che nello stesso periodo aveva conquistato Temesa con il pugile Eutimo, di ritorno dalle Olimpiadi dove aveva partecipato a tre edizioni dal 480 al 472 a. C.
1) Tra gli assertori della nascita di Terina alla fine del VI secolo, subito dopo la vittoria di Crotone su Sibari, troviamo vari nomi.Il Lenormant in “La Grande Grece”, edito in Parigi nel 1884, riportò “dans le cours du VI siecle” la nascita del rapporto tra Crotone e Terina.
Della stessa opinione fu Domenico Marincola Pistoja, in “Di Terina e di Lao” che optò per questa data poiché coincideva con il periodo in cui si rinsaldarono i rapporti di Crotone con Temesa, Pandosia e la vicina Cleta.
Lo storico, però, pur sostenendo l’ipotesi di Terina sorta nel VI secolo a. C., non ne escluse la fondazione in un’epoca precedente, rifacendosi all’interpretazione della parola apoixizein* usata dal Psuedo Scimno al verso 306.
Anche E. Ciaceri in “Storia della Magna Grecia” (Milano, 1927), ipotizzò la nascita nel VI secolo a. C., subito dopo la distruzione di Sibari. La tesi esplica: “Di ciò si avrebbe prova nelle monete crotoniati anteriori al 480 che sul rovescio portano le lettere TE, ove fosse dimostrato che realmente si riferiscono alla città di Terina”.
Questa prova, però, non è proponibile, in quanto come osservò il Peronaci, proprio il Ciaceri aveva affermato che queste monete raffigurano un elmo che “trova riscontro solo nelle monete di Temesa”, vanificando così la sua affermazione precedente. Se Terina fu fondata nel VI secolo dopo la vittoria di Crotone su Sibari, non è certo questa proposta dal Ciaceri la prova giusta.
Al contrario, queste monete testimoniano un rapporto tra Temesa e Crotone, all’epoca del passaggio di alcune aree nell’orbita di Crotone dopo la distruzione di Sibari. L’emissione congiunta parrebbe testimoniare una certa importanza di Temesa agli occhi di Crotone. Ma il fatto che la scritta TE fosse posta sul retro, indica e conferma la subalternità di Temesa nei confronti di Crotone.
Questa tesi che vuole la città di Terina fondata alla fine del VI secolo subito dopo la vittoria di Crotone su Sibari, viene a cadere in quanto si è tramandato un fatto storico che risale al 534 a. C. che ricorda l’esistenza di Terina. Si tratta di un avvenimento trascurato dagli storici contemporanei, forse perché ignorato, ma riportato da Strabone (nel Libro VI), da altri storici antichi e da scrittori meno antichi quali Razzano e Giovanni Battista Nola Molisi. Nel 534 a. C., un anno dopo aver distrutto Siris, Crotone dichiarò guerra a Temesa e Cleta, per vendicarsi del fatto che Temesani e Cletesi avevano aiutato Sibari, con il malcelato accordo che se Sibari avesse vinto, la città di Terina, colonia di Crotone, sarebbe stata occupata da Temesa e Cleta. La guerra, però, fu poi vinta da Crotone.
2) Secondo il parere di A. Peronaci, in “Studi Meridionali” (Roma, 1973), Terina fu fondata non prima del 480 a. C. perché la nascita della città sarebbe stata una “contromossa” di Crotone verso Locri che aveva conquistato Temesa con il pugile Eutimo, ritornato dalle Olimpiadi, dove aveva partecipato nelle ultime tre edizioni, a partire dal 480 a. C. fino al 472 a. C.G. Giannelli in “La Magna Grecia da Pitagora a Pirro”, edito in Milano nel 1928, pone la fondazione della città agli inizi del V secolo, partendo dalla data delle prime monete risalente al 480 a. C.
Agli inizi del V secolo, per gli stessi motivi, la riporta P. Zangani Montuoro nel 1969 in “RAAN”.
La scelta di questa data del V secolo, che riporta l’inizio della monetazione della città, non è però inattaccabile in quanto essa, per ovvie ragioni, non può indicare nello stesso tempo la data di nascita della città ma solo quella del suo massimo splendore.
Inoltre, così come osserva K. Regling in “Winckelmannsfeste”, pubblicato nel 1906 in Berlino, la data della prima coniazione non può essere messa in relazione con quella di fondazione della città per un altro importante motivo. Infatti, se la prima monetazione di Terina risale agli inizi del V secolo, è chiaro che essa non indica la data di nascita della città, in quanto, se è vero che Terina come scrisse Pseudo Scimno fu la prima città della Magna Grecia, essa dovette vedere la luce prima di Locri e Hipponion, che, invece, batterono moneta agli inizi del VI secolo a. C.. Addirittura, visto che Medma la si ritiene risalente al secondo quarto del VI secolo a. C. e che Hipponion ha offerto alla luce durante alcuni scavi alla necropoli greca dei corredi funebri risalenti alla fine del VII secolo a. C., Terina, rifacendosi alla definizione data da Pseudo Scimno, dovrebbe risalire almeno a un periodo antecedente alla fine del VII secolo a. C.
Dello stesso parere è Giuseppina Spadea. Ella afferma che se Terina fosse stata colonizzata da Crotone nel VI secolo, come si crede, questa data verrebbe a coincidere con il periodo di maggior spossante impegno dei Crotoniati nella guerra contro Locri della prima metà del VI secolo e contro Sibari del 510 a. C., momenti in verità non proprio adatti per la fondazione di una colonia. Al contrario, se la fondazione di Terina si colloca in un periodo precedente a quello della nascita di Medma e Hipponion, la data coinciderebbe con un periodo di floridezza e espansione di Crotone.
Questa retrodatazione, comunque, è offuscata dal fatto che, come osservò il Peronaci, l’occupazione di Temesa, se si vuole confermare Terina come una fondazione di Crotone in contrapposizione alla conquista di Temesa da parte del locrese Eutimo, non poté verificarsi anteriormente al 480 a. C. perché in quell’anno Eutimo partecipò alla prima delle sue tre Olimpiadi e è opinione accettata che egli conquistò Temesa dopo il ritorno da queste tre Olimpiadi, in una data tra il 472 e il 460 a. C.
Sulle origini di Terina, resta una frase particolare di uno dei maggiori scrittori dell’antichità, il geografo Pseudo Scimno. In “Periegesi”, elencando le tante fondazioni greche che diedero vita alla Magna Grecia, Pseudo Scimno ricordò Terina “prima fra tutte” fondata in “tempi antichi” da Crotone, vicina a Hipponion e Medma, fondate da Locri Epizefirii. Perché questa definizione? Secondo il parere di molti studiosi, Terina potrebbe essere stata così definita in rapporto alla successione geografica delle varie città, partendo dal Tirreno per finire allo Ionio.
Secondo altre interpretazioni, invece, potrebbe essere stata così definita in base all’ordine cronologico delle date di fondazione delle colonie elencate.
Infine, secondo una terza interpretazione, Pseudo Scimno intendeva citare Terina come la colonia della Magna Grecia più progredita rispetto alle altre.
Tra le tre ipotesi, la prima è da scartare: Terina era posta in zona centrale e prima di essa, nell’ordine, s’incontravano altre città, sia partendo da sud che da nord. In merito alla terza, invece, è possibile ma non certo che Terina fosse, almeno in un certo periodo, la colonia più evoluta della Magna Grecia.
Di conseguenza, l’ipotesi più veritiera risulta la seconda, quella che ritiene Terina la colonia della Magna Grecia fondata “prima fra tutte”.
Tra l’altro, in un’opera sui proverbi di Apollonide di Nicea, Terina è detta anche “Megàle Hellas”, così come ricorda anche Stefano di Bisanzio. Secondo vari storici, la similitudine voleva esaltarne la grandezza tanto da farne l’emblema della Magna Grecia. Non tutti, però, sono d’accordo su questa tesi.
Secondo Marincola Pistoja, di questo proverbio, “certamente guasto dai suoi trascrittori, non dee tenersi alcun conto...”. In tempi recenti, il proverbio è stato inteso, addirittura, come una specie di ritornello burlesco verso una città che presuntuosamente credeva di essere quello che invece non era.
Quest’interpretazione, però, è solo una congettura di chi l’ha proposta, in quanto non è dimostrabile il fine burlesco e anche perché di tentativi d’irrisione verso una città ne esistono davvero molto pochi.
IL NOME DI TERINA
Anche sul termine Terina non sono mancate dissertazioni.
Nell’ “Alexandra” di Licofrone, Tereina*, nel suo significato di “tenera, dalle carni morbide”, indica il soprannome della Sirena Ligea.
Secondo Barrio in “De Antiquitate et situ Calabriae” e Corcia (che ne scrisse nel 1879), tereina*, aggettivo, significa “tenera” e il nome era stato dato alla città per la dolcezza che il luogo suscitava.
A parere di Peronaci, Tereina* era anche il nome primitivo della città.Per Ciaceri (nel 1927) e Bérard (nel 1960) il termine Tereina* indicava il nome della ninfa del luogo.
In alcuni casi, le dissertazioni sul nome, hanno portato anche nuove deduzioni sulle origini della città.
Secondo Mazzocchi, per esempio, Terina fu fondata da un popolo orientale in considerazione di un’origine caldaica o siriaca del suo nome, che in quelle lingue, significa “tiranno”, “re”, “principe”. Oppure, sempre per Mazzocchi, l’origine della città fu ebraica, in quanto in ebraico Terina significa ”cattive navi”.
Resta di importanza basilare, tra tutti gli interventi, quanto lasciato da Erodiano, nel II sec. d. C., nella sua opera “Sull’ortografia”. Alla voce “Terina”, riportò con grande precisione: “Si scrive con la iota. Infatti quelle parole che terminano per -ina respingono il dittongo ei”.
“Terina”, quindi, e non “Tereina”. Proprio come si è sempre detto a Nocera.
C’è d’aggiungere, infine, che qualche studioso ritiene che la città, in un certo periodo della sua storia, per influsso dei Crotoniati, mutò nome, diventando Tereneon*, nome riportato su alcune monete. Il termine Tereneon*, nel suo etimo greco, significa “rifugio, asilo, protezione della nave”, da tereos*, tereo* (che significa “che custodisce, che protegge”) e neon*, da naus* (che significa “nave”). Un etimo che, in effetti, combacia con l’aspetto geografico del Piano di Tirena, dei suoi porti e anche con alcune particolari vicende, tipo quella di Arete (della quale diremo). Nonostante ciò, però, il cambiamento del nome non è dimostrabile. Tereneon*, infatti, più che indicare il nome della città, poteva indicare più semplicemente il nome del popolo.
LA SIRENA LIGEA
A Nocera sopravvive da secoli il mito della Sirena Ligea, seppellita secondo Licofrone a Terina sulla riva del Savuto.
Il termine ligeia*, in greco, significa “melodioso, dalla voce affascinante, argentina” e calza alla perfezione per la descrizione del personaggio. E’ un aggettivo ed è con Licofrone che per la prima volta esso è usato come nome proprio della Sirena. Come già detto, lo stesso Licofrone, nell’“Alexandra” indicò la sirena anche con il soprannome greco di Tereina*, che significa “tenera, dalle carni morbide”.
Per quanto riguarda il termine sirena, questo deriva dal greco “Seir” (Sole) e “Mene” (Luna), simboli collegabili a Pandina, figura ben nota nella storia di Terina e Nucria.
Ma chi era Ligea? Era figlia delle divinità pagane Acheloo (nume fluviale) e Calliope. Secondo altre fonti, di Forco e Ctonia. Così come le altre due sirene, Partenope e Leucosia, Ligea fu compagna di gioco di Persefone, quest’ultima madre di Sabazio (del quale parleremo), generato insieme a Zeus, unitosi alla dea con le sembianze di un serpente.
Secondo una leggenda riportata da Ovidio, in Sicilia le Sirene furono trasformate da Demetra, per non averle salvato la figlia Proserpina rapita da Plutone, in esseri metà donna (nel busto e nel viso) e metà uccelli (nella parte inferiore del corpo), con grandi ali e le zampe di gallo.
Persefone (madre di Sabazio e compagna di gioco di Ligea), e con essa Attis (in Tracia e in Frigia identificato con Sabazio), sono figure relazionabili, per sincretismo, alle possibili origini dell’odierno rito dei “Vattienti". Se si pensa che il culto di Attis fu assimilato a quello di Demetra e che anche Demetra e Persefone avevano culti in comune, si può arguire che esiste un filo conduttore (finora sconosciuto e che tale, crediamo, resterà) tra questi personaggi e la storia che si sviluppò sul Piano.
Le tre sirene sono citate in questo numero per la prima volta da Licofrone mentre nell’ “Odissea” di Omero erano in numero di due. Un’altra differenza tra i due poeti è che mentre Licofrone parlò della loro fine (il suicidio), Omero non fece alcun cenno del loro destino.
La tradizione racconta che le tre Sirene, Ligea, Partenope e Leucosia, a Sorrento caddero in mare da uno scoglio. Trovarono culto e sepoltura, Ligea come risaputo a Terina, la seconda nell’omonima Partenope (o Neapolis, l’odierna Napoli) nella terra bagnata dal Gladio e quindi con maggiore precisione nell’odierna Clanio vecchia, la terza nel golfo dal promontorio Enipeo, dove diede il nome a una piccola isola, l’omonima Leucosia, oggi Piana.
Un'altra leggenda su Ligea racconta la sua fine in maniera diversa. La sirena morì di dolore, nel mare vicino alla foce dell’Ocinaro, per non essere riuscita ad ammaliare con la sua voce Ulisse.
Anche i nomi di Partenope e Leucosia, così come quello di Ligea, hanno origine dalle loro caratteristiche fisiche. In greco, infatti, partenope* significa “virginea, vergine” mentre “leucosia” deriva da leucosis* che significa “bianco”, con riferimento alla carnagione della sirena.Il centro principale del culto delle tre Sirene divenne naturalmente Sorrento, dove fu eretto un tempio.
Secondo il Ciaceri, il culto di Ligea si propagò fino a Terina in conseguenza dei buoni rapporti esistenti con Sorrento e Partenope (o Neapolis). Ma si tratta solo di una supposizione, peraltro molto elementare. Di questi rapporti, tra l’altro, non esistono tracce di alcun genere.
Secondo il parere di studiosi moderni, invece, il culto di Ligea giunse a Terina proveniente molto probabilmente da Crotone, dove le Sirene erano venerate da Pitagora e dai suoi discepoli.
Sorge qui una domanda molto particolare: era preesistente il nome di Terina oppure quello delle Sirene?
Rifacendosi a quanto riportato da Licofrone, si potrebbe affermare quasi con certezza che era preesistente il nome della città.
Ma come giunse il culto di Ligea in Terina? Dopo varie ricerche, offriamo questa nostra chiave di lettura, molto credibile.
Ligea, secondo Licofrone e Aristotele era una sirena. Altre fonti, invece, la connotano tra le Nereidi o tra le Ninfe. C’è, però, una scritta su un vaso attico databile attorno al 520 a. C. facente oggi parte della collezione Dzialynski di Parigi, che indica Ligea più esattamente come una menade danzante tra i satiri, così come nel 1887 scrisse H. Heydemann in “Pariser Antiken”.
Le menadi, è noto, sono considerate equivalenti alle Sirene e alle Ninfe, tanto che nell’identificazione tra loro non esiste una netta distinzione. Le menadi, però, fatto particolare, in molte circostanze sono indicate come baccanti al seguito di Dioniso.
Qui siamo davanti a un punto di particolare interesse: Dioniso, per skeomorfismo, era personificato in molti popoli con Sabazio, il dio dalle corna di toro, tanto venerato anche in Terina da dare il nome al luogo dove essa sorgeva, chiamato appunto colle Sabazio.
Questa chiara relazione, dunque, potrebbe portare a pensare che il culto di Ligea sul Piano fosse una diretta conseguenza del culto di Sabazio.
Infine, in merito alla Ligea “nocerese”, ecco un’altra osservazione molto importante. L’immagine della Sirena riportata oggi sul gonfalone del Comune di Nocera Terinese è sbagliata. Essa, infatti, risale al Medio Evo, quando le Sirene erano rappresentate con la parte inferiore del corpo a forma di pesce. L’immagine di Ligea, invece, dovrebbe corrispondere alla tradizione mitica di Terina e Nucria rifacendosi all’arte greca che sin dall’età arcaica l’ha tramandata con le sembianze descritte da Ovidio, metà donna e metà uccelli, con grandi ali e le zampe di gallo. E, nella maggior parte dei casi, con in mano la cetra.
IL SEPOLCRO DI LIGEA
Molte testimonianze, anche scritte, riportano che fino a un secolo fa, alla foce del Savuto, il fiume che un tempo era stato l’Ocinaro si potevano ritrovare ancora i resti del sepolcro di Ligea, tracce tangibili del mito esistente nei luoghi.
Come scrisse nel 1571 Gabriele Barrio in “De Antiquitate et situ Calabriae”, sopravviveva, infatti, un pezzo di muro con un’epigrafe in greco che riportava “LIGEIA ZANEI Z.A.P.” che significa “muore Ligea che visse cent’anni”.
Dell’epigrafe e del muro, poi, parlò anche nel 1601 frate Girolamo Marafioti in “Croniche et Antichità di Calabria”, che affermò di averli visti di persona. Subito dopo ne parlò anche padre Giovanni Fiore.Tommaso Morelli, nel 1847, in “Cenni Storici su Nocera della Pietra della Nave”, riportò che anche al tempo il sepolcro era ancora ben visibile alla foce del Savuto.
Seguirono poi le citazioni del Leoni e di altri scrittori.
Purtroppo, in tempi non molto lontani, chissà quando, nell’incuria di tutti, il pezzo di muro e l’epigrafe sono andati dispersi. Dispersi o rubati?
Oggi, purtroppo, c’è chi dà dei falsi a Licofrone, Barrio, Marafioti, padre Fiore, Morelli, Leoni eccetera. I veri bugiardi, però, sono coloro che vogliono traslocare Terina altrove negando il passato, la Storia, i grandi storici e i grandi scrittori, i reperti e la logica. E inventando la Storia secondo convenienza e secondo i finanziamenti in arrivo. Per fortuna, però, sono ancora molti gli anziani ancora viventi che ricordano il muro e l’epigrafe. E sono molte le monete di Terina ritrovate sul Piano ieri e oggi sulle quali è impressa Ligea, quando a figura intera, quando solo nel volto. La più antica di queste monete risale, secondo gli studiosi, al 460 a. C.
Ma com’è il volto di Ligea? Mento rotondeggiante, occhi a mandorla e capelli tirati all’indietro, questa la figura più ricorrente.
Piccoli reperti riferibili a Ligea sono giunti dal Piano anche in tempi recenti.
Ngli Anni “80 fu rinvenuta una piccola scultura su pietra calcarea raffigurante una testina di donna, che ricorda quella della Sirena impressa sul diritto di alcune monete di Terina, tanto che gli esperti pensarono a un unico scultore.
Oggi la testina è conservata presso il Centro di raccolta della Pro Loco di Nocera.
Nel 1987, durante una campagna di scavi, ecco poi un eccezionale frammento del lato sinistro e dei capelli di una testa femminile che in origine era a grandezza quasi naturale, anch’essa molto somigliante all’immagine storica di Ligea.
IL GOLFO DI TERINA
In “Historiae” (VI 104) di Tucidide esiste una citazione del “Golfo Tireneo” là dove si racconta che lo spartano Gilippo, nel 415 a. C., partito da Taranto e passato da Turio, giunto nel Golfo Terineo, s’imbatté in una tempesta che lo ricacciò in alto mare e lo costrinse a tornare a Taranto.
Questa citazione, però, è frutto di un errore che ha fatto molto discutere, dovuto probabilmente non all’autore del testo ma a qualche traduttore.Ma di quale errore si tratta? Si riporta “Golfo Terineo” invece di “Golfo Turineo”. Il racconto, infatti, dice che Gilippo, recatosi a Turio, “salpato, si mise a costeggiare l'Italia”. Ma non andò molto lontano. Quando ancora era nei mari della città, ossia nel “Golfo Turineo”, lo sorprese la bufera di vento. L’errore, insomma, è tutto in una semplice vocale, eppure ne sono nate discussioni e deduzioni abbastanza particolari.
Questo il testo di Tucidide:“E Gilippo, da Taranto, si recò come ambasciatore in primo luogo a Turii per rinnovare il diritto di cittadinanza concesso a suo padre; ma non riuscendo a trarli dalla sua parte, salpato, si mise a costeggiare l'Italia. Sorpreso all'altezza del golfo Terineo dal vento, che in quei luoghi soffia violento da borea, venne spinto in alto mare. Così, nell'infuriare della bufera, approdò di nuovo a Taranto e, tratte in secco le navi che più avevano sofferto, le riparò”.
Iniziò Ettore Pais, prima in “Terina colonia di Crotone”, in “Atakta” edito in Pisa nel 1893, poi in “Ricerche storiche e geografiche sull’Italia antica” edito in Torino nel 1908 e infine in “Italia antica. Ricerche di storia e di geografia storica”, edito in Bologna nel 1922.
Si chiese come mai, giungendo Gilippo da Taranto, fosse stato citato il Golfo Tireneo e non quello Scilletico. Escluse un erroredi Tucidide, anche perché presso gli antichi si era sempre detto che questi aveva visitato l’Italia e soprattutto perché aveva scritto sempre con grande precisione.
Il Pais, addirittura, negli scritti citati, imbastì la storia di una Temesa Montana e una Marina.
Anche Grote, in “History of Graece”, discusse il passo di Tucidide. Giudicò impossibile un errore di così grave entità da parte dello storico ma, nello stesso tempo, non riuscì a spiegarsi il perché di quella frase.
Più duro con Tucidide fu Holm che in “Storia della Sicilia nell’antichità” (II, 60, n. 3) ritenne il passo un grave errore.Secondo altri pareri, le parole usate da Tucidide, katà ton Terinaion*, non devono essere invece prese alla lettera. Esse esprimono solo un dato di fatto. Tucidide narrava un’avventura e non un itinerario. Raccontando di Gilippo, dopo aver detto che era partito da Taranto e passato per Turio, non dovendo per forza descriverne il tragitto nei dettagli, lo riportò immediatamente al punto centrale del racconto, la tempesta nel “Golfo Terineo”. Questa giustificazione potrebbe essere considerata a prima vista attendibile, ma così non è, perché nel testo si riporta che Gilippo “venne spinto in alto mare. Così, nell'infuriare della bufera, approdò di nuovo a Taranto”, parole che rappresentano un’immediata conseguenza della tempesta, perché durante e a causa del suo infuriare le navi furono sospinte di nuovo al punto di partenza. Cosa impossibile, se le navi si trovavano nel “Golfo Terineo” sul Tirreno, essere sospinti da una tempesta attraverso lo Stretto di Messina e ricacciati al punto di partenza.
Precisazioni: I testi segnati con * sono da intendere come si leggono in italiano pur essendo riportati con i caratteri originari della lingua greca.
Tratto da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" Vol. 1 - Dalle origini a tutto il 1400 di Adriano Macchione (Ma.Per. Editrice)