Una simbiosi perfetta

Le radici di Nocera Terinese affondano in tempi molto remoti. In Calabria, senza dubbio, pochi centri possono vantare albori così lontani. La storia di Nocera, infatti, si ricollega e s’interseca in vari modi al cammino compiuto nei secoli, ai miti e alle leggende di tre antiche città attraversate dalla storia greca e romana, Terina, Nucria e Temesa. Città che quindi non si possono assolutamente ritenere estranee al patrimonio storico del territorio nocerese, anzi, ne sono parte integrante. Soprattutto se si considera l’antica ubicazione dei tre centri, in piena comunione, per vari motivi, con l’attuale paese.

Terina, infatti, per come si è sempre tramandato nei secoli e per come acclarato dagli storici antichi e da molti contemporanei, sorgeva sul Piano oggi detto di Tirena, Nucria sul sito chiamato “Timpone” nell’attuale Rione Motta di Nocera, Temesa nel territorio della vicina Serra Aiello.

Terina era città di grande fama, citata più volte dagli scrittori antichi e moderni, che ancora oggi, oltre a essere ricca di dati storici, emana racconti mitici e leggende, Nucria secondo qualche storico era città più piccola, meno importante e quindi anche meno fascinosa e della quale sono sopravvissute ben poche notizie, Temesa era città della stessa importanza di Terina e anch’essa più volte citata.

Pare abbastanza ovvio, quindi, che per avere un quadro completo della storia antica del popolo nocerese, non si può fare a meno di discorrere di queste tre antiche città.

 

Nucria, la sorella minore

Nucria, rispetto a Terina e a Temesa, come appena detto, è la città che gode di minor fama. Anzi, si può ben dire che prima della nostra opera “Terina, Temesa, Nucria, ieri, oggi, domani”, era una città quasi sconosciuta, in quanto mai alcun studioso, nell’ultimo secolo, si era sforzato di ricostruirne una benché minima storia. Avendo Nucria lasciato scarse tracce del suo cammino nei secoli, tutti si sono limitati a riportare il poco che si era già detto, senza mai espletare una ricerca più approfondita.

Nell’ultimo secolo, sempre con molta superficialità, tra i pochi scrittori e storici che en passant hanno parlato di Nucria (sempre molto in breve), la piccola città è stata considerata, di volta in volta, quando preesistente a Terina, quando contemporanea, quando successiva. Non è mancato, altresì, chi ha considerato Terina e Nucria addirittura la stessa città. E chi si è posto una particolare domanda: se Nucria fu successiva a Terina, sorse quando questa era ancora in vita o quando già non esisteva più?

Le rare dissertazioni, inoltre, hanno presentato un groviglio di ipotesi anche riguardo il luogo dove il centro sarebbe sorto: Nucria, a prescindere se fosse preesistente, contemporanea o successiva a Terina, sorse sul Piano insieme a essa oppure una delle due città sorse in un altro luogo e dove?

C’è da aggiungere, a parziale scusante della varietà delle ipotesi, che la “scoperta” di Nucria è abbastanza recente, risalendo, come vedremo, appena agli inizi dell’800. E che sulla sua storia, non esistono molte notizie. Ma lo ribadiamo: una ricostruzione, pur minima, si sarebbe comunque potuta tentare. Per mostrare, almeno, un po’ di coraggio intellettuale, quello che ormai manca a molti. In genere, per non approntare teoremi, ci si cela dietro l’alibi dell’assenza di dati scientifici.

 

La Nucria di Filisto

Nucria, per come riporta lo storico siracusano del IV secolo Filisto in “Storia” (Libro XI e XV) era unapolis tes Tursenias*”, ossia una “città della Tirsenia” o meglio, con una traduzione più appropriata, una “città della Tirrenia”. E’ evidente, quindi, che al tempo di Filisto, morto suicida nel 356 a. C., essendo stata citata, Nucria esisteva già. Filisto, infatti, morì nel 356 a. C., ben 153 anni prima della distruzione di Terina a opera di Annibale.

Questa di Filisto è l’unica testimonianza sopravvissuta sull’antica Nucria. Da essa nascono due importanti deduzioni: Nucria esisteva ancor prima della distruzione di Terina a opera di Annibale (avvenuta ben 153 anni dopo la morte di Filisto) e di conseguenza, essendo a essa contemporanea, non sorgeva sul Piano di Tirena (dove sorgeva Terina) ma altrove.

Secondo vari scrittori dell’800, Nucria sorse a opera dei Nucerini di Nocera Campana. La tesi è plausibile anche se, a oggi, non è confortata da prove. Restano aperti, allora, anche spiragli per l’ipotesi di una Nucria fondata direttamente dai Greci, così come Terina, Temesa e la vicina Cleta. Infine, qualche traccia che potrebbe portare alle origini di Nucria, si riscontra, come vedremo, scorrendo la vita, le imprese e le leggende legate a Diodeme o ai suoi soldati.

Sulla definizione “della Tirsenia” data da Filisto a Nucria, ecco quanto scrisse Domenico Marincola Pistoja, grande storico di Catanzaro vissuto nel 1800, nel capitolo “Nucria” in “Opuscoli di Storia Patria”:

“…gli antichi scrittori colla denominazione di Tirreni intesero talune volte parlare di altri popoli, abitatori di contrade diverse della Tirrenia. Infatti, Tirreni chiamò Strabone quei barbari corsari, contro di cui Anassilao tiranno di Regio costruì una muraglia nell’istmo Scilleo, ed il medesimo Stefano di Bisanzio disse dei Tirreni la città di Bretto, mentrecchè non v’è dubbio che sia appartenuta ai Brezi. Oltre di ciò giova pure ricordare, a giustificazione dell’epiteto di Tirreni, dato da Filisto a questa città, che la costa, sulla quale sorgeva la nostra Nucria, era allora come al presente bagnata dal mar Tirreno, il cui nome il detto scrittore poté credere di dover unire con quello di questa città, per distinguerla dalle altre omonime ch’erano in altre contrade d’Italia”.

 

Le altre quattro Nuceria dell’antichità

Filisto definì Nucria “città della Tirsenia” probabilmente per distinguerla dalle altre città omonime esistenti ai suoi tempi (così come oggi) in Umbria, in Campania e in Puglia.

In Umbria esisteva Nuceria Camellaria. I suoi abitanti, come li ricordò Plinio, erano chiamati Nucerini Favoniensi. Di essa parlò Strabone, in “Geographica”.

Nel Piceno, diventato poi un territorio della Campania, esisteva Nuceria Alfasarna, riportata per errore dei copisti di Procopio come Luceria e poi diventata Nucera Alfaterna. Il suo agro fu detto Nucerino da Plinio e i suoi abitanti Nucerini da Tito Livio, Seneca, Stefano di Bisanzio, dal “Suidae Lexicon” (“Lessico della Suida”) e da altri testi. Di questa città parlarono Strabone, Plinio, Tito Livio, Diodoro Siculo, Cicerone e molti altri scrittori latini. Essa fu riportata anche nella “Tabula Peutingeriana” (una carta geografica probabilmente del IV sec. d. C. della quale parleremo in seguito).

Nel Sannio Irpino, a quattro miglia da Benevento, sorgeva Nuceriola, anch’essa riportata nella “Tabula Peutingeriana”. Il nome significava “piccola Nuceria”.

Nella Puglia settentrionale esisteva Nuceria, poi detta Luceria dell'Apulia, città molto citata da storici antichi e moderni, per le vicende che in seguito narreremo. Ne scrissero, tra gli altri, Aristotele in “De mirabilibus auscultationibus”, Timeo e poi Tolomeo. Fu riportata, inoltre, nella “Tabula Peutingeriana”.

 

La “scoperta” di Nucria della Brezia e le opinioni degli storici del 1800

La chiara sintesi che abbiamo dato sulle origini di Nucria cela una particolarità: essa è stata formulata appena nell’ 800, a differenza di tante altre storie di città lasciate, invece, da scrittori greci e latini.

Dopo la citazione di Filisto, infatti, su Nucria calarono secoli di silenzio. A differenza, invece, delle altre Nuceria, riguardo alle quali le notizie piovvero abbandonanti.

Poi, dopo dieci secoli, su “Nucria della Tirsenia” rispuntò una citazione di Stefano di Bisanzio, famoso geografo del VI sec. d. C., che per le sue opere, è notorio, oltre che dal “Suidae Lexicon” (“Lessico della Suida”), attingeva molto dagli scrittori antichi.

Di seguito, non giunsero altre citazioni. Così, quando s’iniziò a scrivere la storia di Nuceria, essa non fu citata come la continuazione dell’antica Nucria ma relazionata a Terina.

Così, per primo, Sertorio Quattromani, poeta, filosofo e filologo di Cosenza (1541 - 1603), in “Animadversiones al Barrio” riportò quanto segue: “tam propinquae sunt Terinae urbis vestigia Nuceriae ut eadem omnino censendo sit”, ossia “Sono così vicine le vestigia di Terina a Nocera che (l’una e l’altra) devono essere considerate assolutamente la stessa cosa”.

Di seguito anche l’Aceti usò lo stesso metro.

Frate Girolamo Marafioti, padre Giovanni Fiore e Tommaso Morelli, invece, ritennero Nuceria una città diversa da Terina ma sorta a opera dei Terinei solo dopo la distruzione della loro città. Insomma, nessuna citazione di Nucria come città a sé stante della Brezia.

Certo, nel territorio della nostra Nuceria, ogni tanto emergeva qualche moneta con la scritta Noucrinon*, ma questa veniva ritenuta il nome del popolo e non della città. Inoltre, tutti gli archeologi e i nummografi, anche i più esperti, come Berkelinis, Holtenius, Eckel, Carelli, De Dominicis, Millingen, Goltz e Magnan, relazionarono queste monete alla Nuceria più nota dei tempi antichi, quella della Campania, che, tra le varie Nuceria, era l’unica della quale era nota la coniazione.

Dopo i secoli del silenzio, nel 1813, ecco invece succedere qualcosa di molto importante.

L’illustre archeologo Avellino, di Napoli, dopo approfondite riflessioni, in “Ital. vet. numism. suppl.” (pag. 21 e 22) e in “Opuscoli” (Vol. II, pag. 134 e Vol. III, pag. 153, 174 e 323), affermò, primo fra tutti, che le monete con la scritta Noucrinon* non provenivano dalla Nuceria della Campania come fino ad allora si era creduto ma erano da riferirsi, invece, a un territorio della Brezia. Rilevò, poi, che anche il conio di queste monete era di evidente fattura brezia e non di mano campana e che nei luoghi dei ritrovamenti sorgeva un paese chiamato Nocera. Infine, osservò che queste monete erano molto simili, per vari aspetti, a quelle dell’antica città di Terina, anch’essa sorgente nei territori di Nocera (come tutti a quei tempi erano certi) e che somigliavano anche alle monete di Reggio, città che aveva condiviso molte vicende storiche con Terina e, di conseguenza, con le popolazioni di quei posti.

Erano affermazioni rivoluzionarie. L’Avellino fu in pratica il primo studioso a sostenere l’esistenza nei tempi antichi di una Nucria della Brezia, città da annoverare al fianco delle altre Nuceria dell’Umbria e della Campania, corrispondente in tempi moderni alla Nuceria della Calabria. Egli cambiò di colpo la storia di Nocera Terinese e del suo territorio, in quanto, senza le sue osservazioni, forse l’antica Nucria non sarebbe mai stata relazionata alla Nuceria della Calabria.

L’ipotesi dell’Avellino, in linea generale, fu subito condivisa da molti altri archeologi e nummografi, come Millingen, Corcia, Grimaldi, Marincola Pistoja e Cavedoni. Anche il Carelli, che appena nel 1812, ossia un anno prima delle affermazioni dell’Avellino, aveva inserito le monete di Nucria tra quelle di Nucera Alfaterna, cambiò opinione e in seguito, nelle sue tavole, le inserì tra quelle di Terina.

L’Avellino, dopo quella che si può ben definire una “scoperta”, espresse un parere anche sui probabili fondatori di Nucria.

Siccome alcune monete di Nucria effigiavano un cavallo, vista l’esistenza di un monumento di un “equus magnus” in Nuceria della Campania e visto che alcune monete in argento di conio osco riportavano accanto a una figura umana ancora l’immagine di un cavallo, forse lo stesso del monumento, ipotizzò che le monete di Nucria potessero essere una sorta di “copia” importata dai Nucerini della Campania in un una nuova città da loro fondata, appunto la Nucria della Brezia.

Il Corcia condivise l’ipotesi dell’Avellino di una Nucria fondata dai Nucerini della Campania ma, per dire la sua, orchestrò una teoria inficiata da un errore di date.

Per quanto riguarda la data di fondazione di Nucria a opera dei Nucerini di Campania, l’Avellino, in considerazione dell’esistenza del testo di Filisto, elaborò con facilità la tesi di una Nucria fondata in epoca anteriore a quella della fine di Terina.

L’Avellino, sempre in “Opuscoli”, Vol. III, pag. 154, lasciò aperti due quesiti, ancora oggi molto attuali. Nucria fu una seconda denominazione di Terina? O fu una città ben distinta, seppure vicina a Terina o alle sue dirette dipendenze, tanto che poi, scomparsa Terina, fu confusa con essa, anche se portò il nome di Nucria? Rispondere ai due quesiti, però, non appare più difficile come un tempo.

Il Millingen e il Corcia, così come altri studiosi, si posero poi le stesse domande dell’Avellino.

Tutti, in genere, si mostrarono concordi su una risposta: Nucria fu una seconda denominazione di Terina dopo che questa fu distrutta da Annibale.

Il Corcia tra l’altro, sostenne che Nucria fu una seconda denominazione di Terina principalmente perché non poteva trattarsi di due città diverse in quanto troppe vicine tra loro. Inoltre, ipotizzò che i Campani, oltre che a Nucria, avrebbero potuto dar vita anche alla vicina Falerna, relazionando quest’ultima a Falerno, un’antica contrada vicino Salerno, conosciuta per i suoi vini.

La supposizione, però, appare alquanto fatua, seppure adottata superficialmente da qualche studioso seguente. La origini dell’odierna Falerna, infatti, sono recenti e nei nostri territori non esiste traccia storica di una Falerna o Falerno della Magna Grecia o dell’età romana.

Poi ecco un altro dilemma: Nucria era preesistente, contemporanea o successiva a Terina?

Il Milligen, il Corcia e altri, sbagliando, optarono per la tesi di una Nucria nata dopo la distruzione di Terina.

La supposizione, infatti, non è convincente. In primo luogo, c’è da osservare che dopo la distruzione di Terina, per logica, dovette trascorrere del tempo prima che i Nucerini di Campania si ritrovassero, sospinti chissà da quale circostanze, negli stessi luoghi, dove poi avrebbero costruito Nucria. E in questo lungo periodo, che ne fu dei Terinei scampati ad Annibale? Si dispersero o addirittura non ci furono superstiti? Un altro motivo che nega la tesi di una Nucria fondata dopo la distruzione di Terina è ben vistoso. Come già detto, è l’esistenza del testo di Filisto, che fu contemporaneo della città.

Non mancarono, comunque, studiosi che non condivisero le tesi dell’Avellino e su Nucria conservarono opinioni tradizionali. Per questa frangia, Filisto, essendo uno storico al servizio di Dionisio, s’interessava solo dei territori sotto il dominio del suo signore, come l’Etruria, la Campania e la Corsica. Di conseguenza, la Nucria da lui citata, non poteva non appartenere a una di queste zone. Era, insomma, Nuceria Alfaterna in Campania. Il Corcia, però, precisò che rispondeva a verità l’interesse di Filisto per le conquiste di Dionisio ma questi, però, fu protagonista, principalmente, nella Magna Grecia e non in Campania, Etruria e Corsica.

Un nuovo intervento sulla storia di Nucria giunse poi nel 1845, in “Studi archeologici sulla Calabria”, a opera di Luigi Grimaldi, avvocato e professore di Catanzaro, presidente della Commissione di Antichità e Belle Arti, cognato di Domenico Marincola Pistoja. Su Nucria condivise quanto riportato dall’Avellino.

Qualche anno dopo, nel 1871, anche Marincola Pistoja in “Opuscoli di Storia Patria” nel capitolo “Nucria”, non si allontanò molto dalle tesi dell’Avellino. Poi, tornò sull’argomento nel 1886, in “Di Terina e di Lao”. Il suo pensiero sull’argomento è sintetizzato in questa frase: “…par certo che gli edifici di questo paese (la precedentemente citata Nocera Terinese, ndr) nascondano le reliquie di altra brezia ed autonoma città, denominata Nucria, esistita contemporaneamente a Terina”.

Marincola Pistoja, a differenza di altri, si discostò dunque dalla tesi che riteneva Nucria una seconda denominazione di Terina affermando, invece, che si trattava di due città distinte ed esistite in contemporaneità. Lo confermava il fatto che di Nucria aveva scritto per primo un suo contemporaneo, Filisto, morto poi nel 356 a. C..

Inoltre, rilevò, era noto a tutti che Terina continuò a esistere anche dopo la distruzione operata da Annibale con il suo nome e non con quello di Nucria.

A proposito della fondazione di Nucria, Marincola Pistoja, considerato che Nuceria Alfaterna, per come riportato da Conone tramite Servio, fu fondata dai Pelasgi Sarrastri o da altri popoli trasmigrati dal Peloponneso e considerato altresì che una parte dei Pelasgi si era diramata in tutta l’Italia meridionale, osservò che questo popolo poteva essere stato davvero anche artefice della fondazione di una città nella Brezia, denominandola poi con un nome uguale a quello della città di provenienza.

Marincola Pistoja, a conferma dell’origine pelasgia di Nuceria della Campania, ricordò la scoperta nel 1856 nella sua antica necropoli di un vaso raffigurante la Cerere Triopea ed Erissittone, noto mito dei Pelasgi. Quest’ultimo nome, ricorda tra l’altro quello di Eris, uno dei tanti modi in cui era chiamato uno dei due fiumi che scorrevano ai piedi del Piano. Alla luce di ciò, chissà, potrebbe esistere una relazione, ancora oggi sconosciuta, tra i nomi del mito pelasgio Erissittone e dell’Eris. Ma è solo una congettura e nulla di più.

Sulle origini di Nucria, in tempi recenti, con il progredire degli studi, si è avanzata una nuova ipotesi, molto precisa: se davvero Nucria è di origini campane, i suoi fondatori potrebbero essere stati i mercenari provenienti dalla Campania utilizzati da Dionisio I. L’ipotesi, però, mostra delle lacune. Innanzitutto non è certo che davvero Dionisio si sia servito di mercenari campani.

Inoltre, c’è da sottolineare che i mercenari campani si distinguevano in due gruppi, uno composto da mercenari di origine osca e provenienti dal Sannio e l’altro composto da mercenari provenienti da Capua. Ed erano quest’ultimi quelli definiti più propriamente Campani.

Quindi, ammesso che Dionisio I si sia servito davvero di mercenari campani, quelli al suo servizio sono indicati dagli storici moderni più accreditati come oschi provenienti dal Sannio, gruppo ben diverso da quelli di Capua, che erano definiti campani. Quest’ultimo gruppo, non fu mai al servizio di Dionisio I.

 

Le monete di Nucria

Alcune risposte definitive sulla storia di Nucria, per fortuna, derivano dall’analisi delle sue monete, rinvenute nel territorio di Nocera e recanti la scritta Nucrinon*. Esse, in verità, non sono di numero elevato, contandosene solo 14. Questa scarsa quantità, secondo qualche studioso, è una conseguenza della breve durata del periodo di produzione e quindi anche della brevità del periodo di massimo splendore e di indipendenza della città. Così, però, può non essere. Le monete di Nucria, infatti, risultano di esigua quantità oggi, ma un tempo potevano essere in numero maggiore, se solo le ritrovate fossero state rese note. Inoltre, bisogna osservare che non sono mai state eseguite delle ricerche nel territorio del centro storico di Nocera, in particolar modo, nel luogo dove, con ogni probabilità, sorse l’antica Nucria. Inutile sottolineare che qualora fossero state espletate queste ricerche, probabilmente il numero delle monete oggi riemerse sarebbe stato di gran lunga maggiore.

Le monete sono tutte in bronzo e quindi seguenti all’inizio del IV sec. di vita di Roma, che fu l’epoca in cui, come metallo per la coniazione, s’iniziò a usare il bronzo. Con maggiore precisione, a parere del Sambon, nummografo dell’800, le monete in bronzo di Nucria potrebbero risalire a un’epoca precedente alla guerra sul continente di Dionisio I di Siracusa, potrebbero essere, cioè, anteriori al 398 a. C.

Secondo Marincola Pistoja, invece, dovrebbero risalire a un periodo successivo all’insurrezione dei Brettii in quanto “…prima di allora nessun fatto successe nelle nostre greche città di tanta importanza, il quale abbia potuto produrre mutamenti nella estenzione del loro dominio e nelle loro politiche condizioni”.

Il primo dato che balza evidente, davanti all’esistenza di questa monetazione, è che Nucria non fu città piccola, mediocre e insignificante proprio perché coniò una propria moneta e, tra l’altro, la coniò per un lungo arco di tempo.

Questo arco di tempo, che segna il massimo sviluppo della città, osservando la datazione delle monete, va dagli inizi del IV sec. a. C. fino al 200 a. C. circa, l’epoca del passaggio di Annibale di ritorno da Canne.

Ignazio Ventura (ingegnere nocerese che nel 1955 pubblicò “Nocera Terinese, storia di una terra di Calabria”) cercò di indicarlo con maggiore precisione, facendo risalire il conio tra il 350 e il 270 a. C. .

Questa data, però, non è da ritenere come quella dell’esistenza della città, in quanto, è chiaro, una monetazione attesta il momento di maggior floridezza di una città e non, invece, l’arco della sua esistenza.

Dalla datazione delle monete di Terina e Nucria, si deduce un dato di rilievo. Nucria, pur potendo essere esistita ancor prima del periodo della produzione delle sue monete, visse un periodo di vita (tra l’altro non di breve durata) in contemporaneità con Terina. E che, probabilmente, andò in disgrazia nella stessa epoca.

Crolla, a questo punto, la frettolosa ipotesi di alcuni studiosi secondo la quale la simbiosi tra Terina e Nucria nasceva dal fatto che si trattava della stessa città.

Certo, si sarebbe potuto trattare di un unico gruppo etnico ma con due centri cittadini ben distinti. Appare chiaro, infatti, che se si fosse trattato della identica città, non si troverebbe un solo motivo per cui lo stesso popolo avrebbe dovuto avere due monetazioni per circa settanta anni.

Su questo argomento ha scritto anche Ignazio Ventura:

Le identità di conio delle monete di Terina e di Nocera rivelerebbero la coesistenza, nella stessa zona, di due centri abitati: ciò ha fatto supporre che Nocera (ossia Nucria, ndr) fosse stata colonia di Terina e luogo di caccia degli stessi Terinesi”.

Il riferimento, probabilmente, era per le supposizioni degli storici (Gabriele Barrio, padre Giovanni Fiore, Domenico Martire e Tommaso Morelli e altri) che, in precedenza, interessandosi dell’argomento, avevano proposto l’ipotesi di Nucria colonia o luogo di caccia di Terina.

D’accordo sulla “coesistenza, nella stessa zona, di due centri abitati”, sul resto della riflessione bisogna fare delle precisazioni. Ritenere Nucria un luogo di caccia di Terina appare errato, poiché tale non poteva essere, in quanto citata come “città della Tirsenia” da Filisto e perché capace di una propria monetazione.

In merito alla contemporanea esistenza di Terina e Nucria, c’è da rilevare quanto scrisse Marincola Pistoja in “Di Terina e di Lao”, là dove trattava, in particolare, le monete di Terina che riportavano la testa di Apollo accoppiata con la maschera del leone. A suo parere commemoravano l’alleanza nella Lega Achea con Reggio, “presumibilmente in occasione della lega costituita con Hipponium, con Nuceria e con Messana contro Dionisio il Vecchio” (entrato in guerra con Reggio tra il 399 e il 393 a. C.).

E ancora, lo stesso Marincola Pistoja, in “Nucria”, lavoro riportato in “Opuscoli di Storia Patria”, sempre sullo stesso argomento, precisò quanto segue:

Vuolsi da ultimo dire, che la somiglianza, già notata da altri, dei tipi e della fabbrica di alcune monete di Nucria con altre della vicina Terina e di entrambe con quelle numerosissime dei non lontani Regini, cioè di quella con la testa di Apollo nel dritto e con quella del leone di faccia nel rovescio, le quali, senza della leggenda, mal potrebbe determinarsi a quale di queste tre città si dovrebbero attribuire, non potendosi questa rassomiglianza riferirsi al caso, dà luogo ad argomentare un avvenimento che produsse rapporti vicendevoli fra Regio e le altre due città”.

Nucria, quindi, è considerata da Marincola Pistoja una città indipendente da Terina.

Della sua presenza in questa Lega contro Dionisio I, comunque, in tempi moderni, non c’è traccia sui testi. Ma se lo storico catanzarese ne scrisse, vuol dire che il dato doveva averlo pur letto.

Terina fu poi preda di Dionisio I nel 388 a. C. e probabilmente la stessa sorte toccò all’alleata Nucria.

Tra le monete di Nucria ritrovate e catalogate, oltre quelle appena citate che riportano la testa di Apollo (così come quelle di Terina), sono da ritenersi importanti anche quelle che riportano il granchio, il simbolo dei Bretti (un conio, anche in questo caso, comune con Terina).

Il carattere pur ben distintivo del granchio, comunque, non permette di fare risalire la coniazione al periodo dei Bretti né permette una qualsiasi datazione in quanto, come si sa, la raffigurazione del granchio fu riportata sulla monetazione di Nucria e Terina in epoca precedente a quella in cui essa diventò il segno di distinzione proprio dei Brettii nella monetazione in bronzo di molte altre città (a Cosentia, per fare un esempio, ciò si verificò nel periodo della guerra con Annibale).

Sulla fine della monetazione, Marincola Pistoja osservò che il conio in bronzo delle varie città, coincise con la fine della loro indipendenza, “…che vuolsi avvenuta verso la fine della seconda guerra cartaginese… 201 a. C.”.

Non sfugge che questa data, oltre che al periodo conclusivo della coniazione di Nucria, è molto vicina anche a quella della distruzione di Terina per mano di Annibale. Qui, inevitabile, nasce un nuovo quesito: Annibale, oltre Terina, vista la vicinanza tra le due città, distrusse anche Nucria? Dare una risposta è impossibile ma si potrebbe azzardare di dire che pure Nucria, se non fu anch’essa distrutta da Annibale, certo non passò momenti tranquilli e subì le stesse angherie.

 

Il nome di Nucria

Il nome Nucria significa “nuova città” o “nuova abitazione”, dai termini greci neos* (nuova) e cairos* (abitazione). Un significato che induce a pensare alla costruzione di una nuova città da parte di genti provenienti da un’altra. Pare logico che un popolo residente sin dalle sue origini nello stesso luogo, non avrebbe chiamato la città “nuova abitazione”, appunto perché da sempre residente nel posto.

Per il Millingen, invece, il termine Nucria non era di origine ellenica, in quanto delle varie Nuceria, una sorgeva in Umbria e quindi lontana dal mondo ellenico e le altre nella Campania dei Sanniti.

 

“ ‘E Nuci” e il “Lucito”

Il Pagano, in “Della città di Terina nei Bruzii” in “Atti dell’Accademia Cosentina”, Vol. III, pag. 389, propose sulle origini di Nucria delle ipotesi del tutto nuove. A suo parere sarebbero potute essere addirittura antecedenti alla nascita della Magna Grecia. Secondo il Pagano, infatti, il nome della città deriva da “nuce” ossia “noce”, termine antichissimo, presente nella lingua latina e italiana e nei dialetti più remoti, quindi d’origine italica e non osca.

In effetti, nel territorio di Nocera esiste una località detta in dialetto “‘e nuci”, ossia “le noci”, ubicata, tra l’altro, in un luogo di grande carattere storico, un po’ più su del fiume Grande, di fronte al Piano di Tirena. Come vedremo, davvero in questo posto sarebbe potuta sorgere l’originaria Nucria.

L’ipotesi del Pagano, inoltre, fa nascere un’altra osservazione. L’imponente collina che sorge davanti al lato sinistro di Nocera dal quale è divisa solo dal fiume Rivale, è oggi denominata “Lucito”, un nome antico, da tutti conosciuto e usato. Questo nome si riscontra anche nei “Cabrei” del 1624 e 1656.

Nel 1747, nell'Archivio di Stato di Napoli, al “Catasto” di Nocera, il luogo è denominato Eliceto, con la precisazione che “Lucito” era solo un nome popolare: “L'Università di Nocera possiede un comprensorio di terre alpestri e boscose, nel luogo detto Eliceto (alberato di elci, oggi volgarmente denominato “Lucito”)...”.

Detto questo, c’è da aggiungere che in dialetto molto spesso (ieri più di oggi) il luogo era detto anche “Nocito” (in dialetto “Nucitu”), con la precisazione che era questo il nome più corretto da usare anche se, fino a oggi, non è emerso alcun documento che attesti questa denominazione.

Qui sorge un dubbio. In Procopio, per colpa di alcuni copisti, è noto un errore che riporta Nuceria della Campania come Luceria. Si può ipotizzare una simile trasformazione subita anche dal “Nocito”, divenuto per errore Eliceto o “Lucito”, magari con una causa comune con l’errore riportato in Procopio?

La domanda, purtroppo, pare destinata a rimanere senza risposta.

Aggiungiamo, infine, un particolare che complica ulteriormente le origini del nome. Questo, secondo una nostra personale ipotesi, potrebbe derivare più semplicemente dai termini latini “locus” e “situs”. “Locus” in latino significa “bosco sacro” (e il Lucito è un bosco), per cui avremmo “luogo del bosco sacro”. Sul perché il Lucito fosse ritenuto tale, naturalmente, le supposizioni che si potrebbero fare sono senz’altro molte.

 

Diomede e le sue leggende

Un’altra ipotesi che si può formulare sulle origini di Nucria è quella da noi esposta, per primi, in “Terina, Temesa, Nucria, ieri, oggi, domani”, che relazionava la nascita del centro a un grande personaggio storico di nome Arete, fondatore di tante città e ricco di vicende che si intersecarono con quelle delle stesse città, al punto che attorno alla sua figura nacque un vero e proprio culto.

Diomede fondò Argirippa (oggi Arpi) secondo Licofrone, Siponto e Canusio (oggi Canosa) vicino ad Argirippa secondo Strabone, Brindisi secondo Giustino e in età tarda anche Benevento.

Tra le varie città fondate da Diomede ci fu anche la Nuceria poi detta dell’Apulia (tra l’altro una delle prime) ed è qui che la storia potrebbe riportare alle origini di Nucria “città della Tirsenia”.

Di Arete scrissero vari storici, con versioni differenti sulla sua vita. L’assemblaggio delle varie versioni porta alla seguente ricostruzione.

Diomede, per gli storici, era probabilmente di origine etolica, visto che in Etolia guidò una spedizione contro il figlio di Agrio per ridare il trono al suo avo Eneo.

Poi, come scrisse Omero, partecipò alla guerra di Troia, per tornare in patria a guerra finita. Omero, però, null’altro aggiunse.

Altri dati sulla vita di Diomede giunsero nel sec. VII da Mimnermo, poeta scoliaste di Licofrone. Questi narrò che, al ritorno a casa di Diomede, l’infedele moglie Egialea, tramò per ucciderlo. Diomede si salvò rifugiandosi ai piedi dell'altare di Era. Poi fuggì in Italia, giungendo negli odierni territori di Foggia presso il re Dauno che prima lo accolse e poi, con scaltrezza, si liberò di lui.

Anche secondo Timeo e Lico, come riportarono gli stessi scoliasti di Licofrone, Diomede, scampato alla congiura della moglie, sbarcò in Italia nel paese dei Feaci, dove uccise il drago della Colchide, guardiano del Vello d'Oro, che funestava quei territori.

Lico, inoltre, lasciò un breve frammento, di grande rilievo per quanto relazioneremo con la storia di Nucria, dove accenna che i compagni di Diomede furono trasformati in uccelli.

La ricostruzione più densa di particolari sulle vicende di Diomede, però, è quella da Licofrone, grazie soprattutto alle versioni dei suoi scoliasti. Diomede, salvatosi dalla congiura della moglie, dopo essersi rifugiato ai piedi dell'altare di Era, fuggì in Italia, giungendo nel paese dei Dauni. Qui fondò una città, Argirippa (oggi Arpi) e aiutò il re Dauno contro i suoi nemici, portandolo alla vittoria. Dopo varie vicende (che esulano dalla nostra trattazione), Diomede morì per mano dell’ingrato Dauno. Licofrone, però, non riporta in quale modo. I compagni di Diomede, invece, prima o dopo la sua morte, si trasformarono in uccelli, con una caratteristica particolare, quella di essere miti quando si avvicinavano dei Greci e di divenire aggressivi e violenti appena scorgevano un barbaro.

Una fine diversa di Diomede è quella che riporta Strabone: scomparve in una delle due isole che portavano il suo stesso nome e fu in queste isole che i suoi compagni si trasformarono in uccelli. Strabone, inoltre, per ricordare la potenza di Diomede, oltre che portare come esempio il nome dato alle due isole, mise in rilievo la fondazione anche della città di Canusio e di Siponto, evidenziando che tutto il territorio dell'odierno Tavoliere delle Puglie era chiamato con il nome di Diomede.

Su Diomede lasciò la propria versione anche Antonino Liberale. Il suo racconto, tra i tanti, è definito il più coerente di tutti. Diomede, conclusa la guerra di Troia, fece ritorno ad Argo, la sua patria, ma fu costretto a ripartire per il comportamento della moglie. Andò così in Etolia per riconquistare il trono del suo avo Eneo. Lungo il viaggio di ritorno, poi, fu sbattuto da una tempesta sul mare dei Dauni, dove fu accolto dal re Dauno, che aiutò nella guerra contro i Messapi. Dauno ricompensò Diomede con la donazione di molti territori e, inoltre, dandogli in sposa la figlia. Poi, Diomede morì di vecchiaia in Italia dove i suoi compagni, indicati come Dori, gli diedero sepoltura nell'isola che porta il suo nome. Alla morte di Dauno, poi, i compagni di Diomede furono sterminati dai barbari Illiri. Fu allora che Zeus, nell'isola, li trasformò in uccelli, con le caratteristiche già descritte, tranquilli con gli amici e violenti e aggressivi con i nemici.

Esistono comunque ancora tante altre versioni sulla vita di Diomede. Secondo alcuni storici, dopo la guerra di Troia, egli fece ritorno in patria e fu lì che morì. Secondo un lungo elenco di altri storici, egli morì in situazioni tra le più varie. Tra i molti scrittori greci e latini che scrissero dell’eroe, ricordiamo Appiano, Dionisio il Periegeta, Eliano, Eraclide Lembo, Giustino, Orazio, Ovidio, Plinio, Polemone d'Ilio, Pseudo Aristotele, S. Agostino, Solino, Tito Livio, Varrone, Virgilio e Vitruvio. A volte i racconti risultano diversi tra loro ma anche ricchi di nuove notizie. Tutti, però, narrano della trasformazione in uccelli dei suoi compagni.

Alla morte di Diomede, in molte città si propagò il culto della sua figura. In varie località sorsero santuari. Pseudo Scilace ricorda il culto diffuso in Umbria. Strabone quello presso gli Eneti, che a Diomede sacrificavano un cavallo bianco nei pressi di due recinti utilizzati per addomesticare gli animali selvatici, consacrati uno a Era Argiva e l'altro a Artemida Etolica. Tra le varie città, inoltre, il culto di Diomede fu praticato anche a Sibari.

Di rilievo, per la nostra trattazione, è il culto che si teneva a Luceria dell'Apulia. Come riportò Strabone, Diomede era adorato nel santuario dedicato ad Atena Iliaca.

Ma vediamo com’è possibile riscontrare tracce delle origini di Nucria relazionandosi a Diomede.

Luceria dell'Apulia nell’antichità si chiamava Nuceria e presentava origini etoliche, essendo stata fondata da Diomede, proveniente dall'Etolia a capo di un gruppo di compagni anche loro Etoli.

Anche Terina e Temesa (e quindi pure Nucria, vista la vicinanza delle tre città), da alcuni storici antichi, sono ritenute di origini etoliche.

Siccome si ritiene che Diomede e i suoi Etoli giunsero almeno fino a Sibari, come pare confermare il culto di Diomede in uso anche in quella città, in considerazione degli stretti legami che intercorsero tra la stessa Sibari e Terina, Temesa e Cleta, non sembra impossibile ipotizzare l’esistenza di un rapporto tra Diomede o i suoi Etoli e la sua Nuceria dell'Apulia anche con Terina, Temesa e Nucria, se non addirittura la stessa fondazione delle città, già indicata in testi antichi come opera degli Etoli.

Un’altra interessante deduzione potrebbe scaturire dal dato che vuole Diomede molto devoto a Era, tanto che, come già narrato, tornato da Troia, davanti alla congiura della moglie che voleva ucciderlo, si era posto in salvo rifugiandosi ai piedi dell'altare della dea. Il nome di Era lo si potrebbe riscontrare facilmente nella storia di Terina e Nucria ricollegandosi al nome della zona detta “Pilieri”, della quale parleremo in seguito.

Ma, ancora più importante, risulta un possibile riallaccio alla leggenda che narra della trasformazione in uccelli dei compagni di Diomede, operata da Zeus dopo la loro morte, che si presentavano tranquilli e miti quando a loro si avvicinavano i Greci ma diventavano aggressivi e violenti quando a loro si avvicinava un barbaro. Una leggenda riportata da vari antichi scrittori, tra cui, come già detto, anche Antonino Liberale.

Questa leggenda si può relazionare anche a un altro racconto, da ritenere di particolare rilievo per le nostre argomentazioni, dello stesso Antonino Liberale, contenuto in “Μεταμορφώσεων συναγωγή (“Raccolta di metamorfosi”), XΧΙ, dove riaffiorano insieme le parole “Terina” e “Ares”.

Il testo, a prima vista, siccome si riferisce a Terina intesa come ninfa senza alcun riferimento alla città, pare non presentare alcuna relazione con la storia della polis.

Questo il racconto prettamente mitico di Antonino Liberale:

Di Terina, figlia dello Strimone, e di Ares era figlia Trassa. Ippone, il fi­glio di Triballo, la sposò e nacque loro una figlia di nome Polifonte. Que­sta si comportò in modo arrogante verso le opere di Afrodite; recatasi infatti su un monte divenne compagna di giochi e confidente di Arte­mide. Afrodite, allora, poiché disprezzava le sue opere, le ispirò una pas­sione ardente per un orso e le fece perdere il senno: resa smaniosa dalla dea, infatti, Polifonte si unì con l'orso. Artemide avendola vista provò per lei un odio inaudito e le rivolse contro tutte le fiere. Polifonte allora, temendo che le fiere potessero ucciderla, fuggendo giunse alle dimore del padre e partorì due bambini, Agrio e Orio, grandi e dall'immensa forza. Questi non temevano né dio né uomo, ma erano insolenti verso tutti e, se si imbattevano in uno straniero, dopo averlo condotto nelle dimore, lo divoravano. Detestandoli, Zeus inviò Hermes perché desiderava che infliggesse loro un castigo. Hermes pensò di tagliare loro i piedi e le mani, ma Ares, dacché Polifonte gli aveva portato la progenie, allontanò i fanciulli da questa sorte. Insieme ad Hermes li mutò infatti in uccelli. Così Polifonte divenne un mostro che di notte strepitava, senza cibo e bevanda, tenendo la testa in basso e le punte dei piedi in alto, messaggero per gli uomini di guerra e lotte civili. Orio divenne un assiolo, un uccello che non appariva eccelso in nulla. Trasformarono Agrio in un avvoltoio, il più odiato dagli dei e dagli uomini fra tutti gli uccelli; in lui soprattutto infu­sero il desiderio di carne e sangue umani. Resero loro servo il picchio che, avendo mutato natura, crebbe in stima presso gli dei per essere dive­nuto un uccello non molesto per gli uomini. Hermes e Ares gli davano ascolto perché faceva per necessità ciò che gli ordinavano i padroni; que­sto è l'uccello migliore per andare a caccia e per i banchetti”.

Antonino Liberale, dunque, racconta del matrimonio di Trassa, figlia di Ares e della ninfa Terina (figlia quest’ultima dello Strimone), in sposa a Ippone, figlio di Traballo. Dall’unione nacque Polifonte. Questa, divenuta fanciulla, fu amica confidenziale e compagna di giochi di Artemida.

Capitò che un giorno Polifonte, ritrovatasi su un monte, disprezzò le opere della dea Afrodite e se la inimicò. La dea si vendicò facendola impazzire. Polifonte fu fatta innamorare di un orso al quale poi si unì. Artemida assistette all’insana unione. Anche lei cadde in odio verso la compagna della fanciullezza, mettendole contro tutte le fiere.

Impaurita dal fatto che poteva essere uccisa, Polifonte si rifugiò in casa del padre Ippone dove partorì due bambini, di nome Agrio e Orio, dalla grande corporatura, molto forti e senza paura di alcun uomo e di alcun dio. Ogni volta che incontravano un uomo, lo divoravano.

Caddero così in odio a Zeus, che pensò di castigarli. E per questo mandò contro di loro Hermes, che progettò di tagliare ai due bambini mani e piedi. Ma intervenne Ares (padre di Trassa a sua volta madre della loro madre Polifonte) che evitò ai due bambini il castigo e insieme a Hermes li tramutò in uccelli. Stessa sorte toccò alla madre Polifonte, trasformata in un mostro notturno, con la testa nella parte inferiore del corpo e le punte dei piedi in quella superiore, sempre affamato e che per gli uomini era un messaggero di lotte civili e di guerre.

Orio, invece, diventò un assiolo, un uccello mediocre e senza qualità, che non eccelleva in nessuna cosa. Agrio, infine, divenne in un avvoltoio, sempre avido di carne umana, al punto da divenire, tra tutti gli uccelli, quello più odiato dagli dei e dagli uomini.

Dopo la trasformazione, Ares ed Hermes, presero come servo il picchio, che fino ad allora si era comportato con gli uomini in maniera molto molesta ma che d’allora divenne molto benvoluto da tutti e stimato, inoltre, come l’uccello migliore per la caccia e per i banchetti.

Come detto, in genere, si è sempre sostenuto che si tratta solo di un racconto mitico, senza alcun substrato storico in quanto non esiste alcun riferimento a Terina intesa come città ma l’accenno è per Terina intesa come ninfa. Invece il racconto si potrebbe valutare in maniera più ampia in quanto potrebbe rivelare, a saperlo interpretare, usanze, costumi, credenze popolari, culti e sfere magiche, dell’antica città di Terina. Il termine “Ares”, per esempio, era, come vedremo, anche il nome del fiume di Terina e, inoltre, s’interseca con la storia e la geografia del territorio in varie circostanze. Inoltre, si potrebbe discorrere con nuovi studi sull’accostamento della ninfa Terina in sposa al dio Ares, in un contesto geografico dove sono citate una città e un fiume con lo stesso nome, con un terzo nome mitico, quello di Ippone, che ricorda la vicina città di Hipponion.

E ancora, il racconto si potrebbe relazionare, come detto, alla storia di Diodeme e di Nucera dell'Apulia.

Troviamo, infatti, una trasformazione finale in uccelli dei compagni di Diomede che mostra una credenza popolare comune tra il luogo d’origine della leggenda, ossia Nuceria dell'Apulia, e la città di Terina, dove si può supporre che la leggenda sia giunta, per poi essere riportata da Antonino Liberale che rappresenta Terina come una donna, dea o ninfa che, con Ares, generò i personaggi presenti poi nel racconto. Si è di fronte, insomma, allo stesso mito, che sembra attestare un rapporto tra la Nuceria dell'Apulia e la Terina sul Piano, vicina di Nucria.

A questo punto, è facile notare la differenza tra la leggenda esistente a Nuceria dell'Apulia e il racconto di Antonino Liberale. Quanto attuato da Zeus, ossia la trasformazione in uccelli degli ex soldati di Diomede dopo lo sterminio patito da parte dei barbari Illiri, sta a significare una sorta di continuazione della loro vita. Invece, quanto attuato da Ares ed Hermes su Polifonte, Agrio e Orio, ossia la loro trasformazione in uccelli avidi, molesti e invisi, è di carattere punitivo.

Sempre riguardo la trasformazione in uccelli, possiamo notare, inoltre, che anche la Sirena Ligea era descritta “con le piume di uccello”, sembianze che si possono relazionare ai due racconti esposti. Solo come curiosità, altresì, rileviamo che anche il nome di Ligea, la famosa sirena morta a Terina, è molto simile a quello di Egialea, la moglie perfida e traditrice di Diomede.

E ancora, c’è da rilevare un'altra particolare coincidenza. Uno dei due bambini figli di Polifonte si chiamava Agrio. Il nome è uguale a quello del padre di colui contro il quale, in Etolia, mosse Diomede per riportare sul trono il suo avo Eneo. Ciò potrebbe relazionare Diomede con l’Hermes della leggenda di Antonino Liberale, colui che fu mandato da Zeus per punire Agrio. Cambia, però, la causa che portò alla trasformazione in uccelli. Nel racconto riferito agli ex soldati di Diomede, la loro trasformazione in uccelli ha uno scopo benefico mentre in Antonio Liberale quella di Agrio ha connotazioni punitive.

Un’ulteriore traccia che potrebbe riportare sull’invisibile filo che collegherebbe la Nuceria dell'Apulia a Terina e di conseguenza anche a Nucria, la si può scoprire in quanto riportato dallo storico Tzetzet, quando questi racconta di un'usanza esistente nei territori di Nuceria dell'Apulia, quella che celebrava il famoso incendio, riportato da Licofrone, per mano della schiava Setea e delle donne troiane, delle navi dei loro padroni, costretti così a non partire da Temesa. La povera Setea, per punizione, fu crocefissa (“legata a braccia aperte con catene di ferro”) sugli scogli e data in pasto agli avvoltoi, che ne straziarono il corpo. Questa vicenda di Setea, secondo il parere di alcuni storici, accadde lungo un fiume dell’odierna Calabria. L’identificazione del fiume, però, rimane incerta e oggetto delle più svariate ipotesi. Secondo alcuni pareri, si trattava del Crati, secondo altri del Neaitos, ossia il Neto, sulla costa ionica.

Per quanto riguarda il nostro discorso, risulta interessante la contemporanea presenza della leggenda di Setea e dell'incendio delle navi nei territori di Nuceria dell'Apulia e in quelli vicini a Terina, Temesa e Nucria. Sembra un’altra conferma di un legame ancora sconosciuto tra le due terre ma che potrebbe essere costituito, chissà, dalla fondazione di Terina e/o Nucria o anche da una loro colonizzazione.

Infine, ecco altre ipotesi che potrebbero relazionare gli Etoli, attraverso Diomede, al territorio di Terina e Nucria. Il culto di Diomede, per quanto riportato da Pseudo Scilace, era diffuso, come detto, anche in Umbria e, quindi, pure nella Nuceria di quel territorio. Rileviamo che era d’uso tra gli Eneti, così come riportato da Strabone, il sacrificio a Diomede, nei pressi di due recinti nei quali venivano addomesticati gli animali selvatici e che erano consacrati uno a Era Argiva e l'altro a Artemida Etolica, di un cavallo bianco. Proprio questo cavallo riporta alla mente i già citati rapporti tra la Nuceria Campana e Nucria.

Rileviamo, infine, che il culto di Diomede, tra le varie città, era praticato anche in Sibari, un centro che, senza dubbio, ebbe relazioni di vario genere con Terina, Nucria e Temesa.

 

Orsi e la Nucria sul Piano: tesi senza prove!

La ricostruzione della storia di Nucria e la sua naturale ubicazione nel sito dell’odierna Nocera proposta dagli scrittori dell’800, anche se con varie ipotesi, apparve molto nitida.

Poi, nel 1916, Paolo Orsi, due anni dopo la sua venuta in paese, di colpo sfaldò ogni cosa senza alcuna prova a sostegno delle nuove tesi. In “Notizie degli Scavi di Antichità” (Roma, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei), scrisse che Nucria sorgeva sul Piano di Tirena:

Ebbi modo di sfatare varie leggende, di dissipare incertezze ed errori e di stabilire in modo sicuro che al piano della Tirena (…) esisté (…) una città di (…) minore estensione ed importanza storica: l’antica Nucera o Nucria”.

Sostenere che la città sorgente sul Piano, estesa, con lunghe mura di cinta, con acquedotti e torri, con più porti, fosse una città minore, sembra un colossale paradosso. Poi, che fosse Nucria, era solo l’opinione di un singolo senza alcuna prova. Eppure, gli studiosi moderni continuano a riportare questa fragile tesi dell’Orsi con molta superficialità e senza indagare sui testi preesistenti. Presto, però, approfondiremo ulteriormente il discorso sull’ubicazione di Nucria, anche per dimostrare la veridicità dell’antica tradizione che vuole la città ubicata presso l’attuale Nocera Terinese.

 

I silenzi moderni

Dopo l’intervento dell’Orsi su Nucria, la sua ricostruzione, veloce e superficiale, diventò di colpo la “storia” di Nucria, proprio come successe con l’intervento di Lenormant su Terina. Il dibattito su Nucria, comunque, si fermò e rimasero solo le parole dell’archeologo di Rovereto. Poi, nel 1928, su Nucrinon, Nuceria o Nuceria dei Brezi (come fu chiamata la città) scrisse anche Emanuele Ciaceri in “Storia della Magna Grecia”, ma nulla aggiunse di nuovo. Seguirono interventi minimi di altri storici, ma sempre senza il supporto, purtroppo, di uno studio serio, sia da parte loro che della Soprintendenza.

Questo disinteresse, a detta di molti, fu dovuto al fatto che, per molti anni, l’attenzione era stata indirizzata su Terina e Temesa e non su Nucria, ritenuta, sulla scorta di quanto riportato da Orsi, città di minore importanza rispetto alle consorelle. Un disinteresse, inoltre, probabilmente dovuto anche al fatto che per molti secoli si è ritenuto che Terina e Nucria fossero la stessa città, un’identificazione che ha fatto passare sotto silenzio perfino i ritrovamenti inerenti alla storia di Nucria e che invece si riconducevano ogni volta alla storia di Terina.

E ancora oggi, purtroppo, si vivacchia sulla sintesi di quanto è stato scritto in passato.

 

 Tratto da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" Vol. 1 - Dalle origini a tutto il 1400 di Adriano Macchione (ed. Ma.Per.)