Presentazione del prof. Amendola

Ogni anno accademico, con l’approssimarsi delle vacanze per la Pasqua, inevitabilmente, negli intervalli delle mie lezioni, finivo col parlare della nostra Statua, della Processione e … dei flagellanti (disegnavo in assonometria ‘u cardu e ‘a rosa sulla lavagna!) con i miei studenti.
Avendo deciso di fare una ulteriore edizione del libro messo in copertina, ho pensato di scrivere tutto ciò nella Nota relativa a tale sesta edizione, descrivendo gli aspetti ingegneristici che la nostra Statua della Pietà presenta.
Tali considerazioni sono state scritte solo per i miei allievi e certamente senza pensare minimamente che con esse avrei dovuto fare un opuscolo … che potrebbero leggere anche i miei compaesani, che ben conoscono la Statua e che, al contrario di me, la possono ammirare in ogni momento delle loro giornate.
Parlando con il Parroco di Nocera Terinese durante le vacanze della Pasqua di quest’anno, ho espresso le mie osservazioni sulla Statua della Pietà presenti in uno dei libri da me scritti per gli studenti di Ingegneria di Pisa.
Da ciò è seguita la semplice richiesta delle fotocopie delle pagine del libro dove ho scritto dette mie considerazioni.
Una tale richiesta, essendo stata fatta da Don Sergio Gigliotti, un Sacerdote degno di tutta la nostra stima per le sue molteplici doti di ottima preparazione, di continua disponibilità, di grande sensibilità e cordialità verso tutti, doveva essere assolutamente soddisfatta in qualunque modo.
Io ho cercato di farlo nel migliore dei modi possibili, non consegnando le banali fotocopie da lui richieste ma facendo realizzare dalla Tipografia Editrice Pisana (una rinomata tipografia della quale si servono, in particolare, molti miei colleghi di Ingegneria) questo opuscolo con le mie divagazioni letterarie, inserite in un diverso contesto di argomenti scientifici, arricchendolo anche con espressive foto del nostro preziosissimo gioiello: la Statua della Pietà.
Dedico pertanto e con tanto affetto questa mia piccola fatica innanzi tutto a Don Sergio, che ha voluto e determinato la realizzazione di questo piccolo opuscolo, e quindi ai Noceresi, che io ho sempre considerato come la mia seconda famiglia.
Giovambattista AMENDOLA
Pisa, 9 luglio 2017.

 

Nota alla sesta edizione

Quando, alcuni anni fa, ho deciso di scrivere questo libro di Meccanica Razionale, certamente non ho minimamente pensato che a quella versione sarebbero seguite tante altre ... e così mi ritrovo di nuovo a rivedere il libro per fare un’ulteriore edizione, la sesta, ma questa volta con la certezza che essa sarà l’ultima.

Anche quest’anno accademico, ultimo della mia carriera universitaria dopo aver tenuto il corso di Meccanica Razionale per Ingegneria Aerospaziale per incarico per altri tre anni accademici dopo il pensionamento, si è da poco concluso.

Come è accaduto in ciascuno dei numerosi anni di insegnamento, che si sono susseguiti uno dopo l’altro ma tanto velocemente, perché così appare il trascorrere del tempo ad una certa età, anche durante quest’anno l’insegnamento mi è servito di sprone, determinando così la decisione di fare questa sesta edizione, con ulteriori modifiche, correzioni, nuove considerazioni, in particolare sulla seconda equazione cardinale della Dinamica, e altri interessanti esercizi aggiunti in varie sezioni.

Dopo quest’ultima fatica, avrò più tempo libero da dedicare a tante cose che ho sempre trascurato nella mia vita: la mia fisarmonica, che mi ha sempre seguito fin da quando avevo 13 anni, ... il mio organo elettronico con due tastiere e una pedaliera quasi completa, che ho comprato molti anni fa per la mia passione per la musica di Bach, ... libri, che avrei voluto leggere nella mia gioventù, quando avevo tempo per farlo ma non avevo i soldi per comprarli, .... Certamente non dovrò più ripartire dal mio paese natio Nocera Terinese, dopo soli pochi giorni di permanenza, per rientrare a Pisa per le lezioni universitarie, in particolare dopo le feste del Natale e della Pasqua.

In assenza di tali impegni, non avrò più premura di rientrare a Pisa e finalmente non sarò più insensibile al crescendo di Marco Pacuvio (220 a.C.-130 a.C.), uno dei pochi tragici di Roma, del quale restano solo pochi frammenti, nella sua tragedia “Iliona”[4]: “age, adsta, mane, audi ...”, che, nell’allontanarmi con la macchina dal mio paese, mi è sempre parso di sentire, perché sussurrato da ogni luogo o cosa a me ben noti, che stavo tristemente lasciando.

Avrò così più tempo per soffermarmi ad ammirare il panorama che si osserva dal terzo piano della casa paterna e le rondinelle, delle quali ho già parlato nell’Introduzione di questo libro, mentre intrecciano i loro voli in modo straordinariamente caotico, ma sempre tale da evitare uno scontro tra di loro; quasi una danza frenetica, guidata forse da una di quelle melodie calabresi, che, suonate normalmente con un organetto cioeè la piccola fisarmonica chiamata in calabrese “arganettu”, risuonano nell’aria ripetendosi con un ritmo monotono, incessante, per cui la musica, quando sembra che stia per finire, invece ricomincia in modo
più incisivo, travolgente, ripetendosi senza tregua, dando l’idea di un tempo che non passa: il presente, che, bloccato da S. Agostino, diventa eternità.

In particolare, potrò restare più a lungo nel mio paese durante il periodo della Pasqua, quando ho un importante appuntamento con una Signora al quale non posso assolutamente mancare (solo un anno non sono andato, pochi anni fa per causa di una bronchiolite, che, pur essendo una malattia dei bambini, avevo preso alla mia età ...; di conseguenza fui costretto a restare a Pisa! In quell’anno la mattina del Sabato Santo “una furtiva lagrima negli occhi miei spuntò ...”[5]).

Di fronte alla casa dove sono nato e cresciuto c'è la Chiesa dell’Annunziata, la cui campana, dal suono inconfondibile e caratterizzato da una nota fondamentale un po’ acuta a causa della media grandezza di essa, ha regolarmente scandito tutte le ore della mia fanciullezza e della mia gioventù.

Là dentro quella Signora con il Suo sguardo, che tiene rivolto verso l’alto, attraversando la parete della facciata della Chiesa, guarda sempre, aldilà della strada, la mia casa paterna, posta di fronte alla Chiesa nella posizione migliore per poter osservare quanto sto per descrivere.

Due sono i miei più importanti appuntamenti con Lei: la sera del Venerdì Santo e la mattina del Sabato Santo, quando il Suo sguardo, dopo l’uscita dalla Chiesa e la discesa dei gradini, attualmente disposti perpendicolarmente alla facciata, nel momento in cui si deve girare per imboccare la strada, è rivolto verso di me, che, con mia moglie, sto ad aspettare sulla loggia del secondo piano di casa mia. E` allora che i nostri sguardi si incontrano e in quell’attimo, che vorrei tant obloccare,sto lì fermo in modo che Lei possa guardare meglio e leggere nelle profondità del mio corpo e della mia anima. Un istante soltanto, perché la Signora ha tante case da guardare nel paese e tanti sguardi da incrociare ...; solo un attimo, in attesa del quale ho sempre vissuto tutte le giornate della mia vita.

Si tratta della nostra Statua del la Pietà, una meravigliosa Statua, che viene portata nella Chiesa di S. Giovanni la sera del Venerdì Santo, per rientrare nella Chiesa dell’Annunziata a notte inoltrata, e che la mattina del Sabato Santo viene faticosamente (a causa del suo peso e delle sue grandi dimensioni) portata in Processione per tutte le strade e tutti i piccoli, stretti vicoli del paese.

Durante questi due eventi molti uomini si flagellano a sangue nelle parti posteriori degli arti inferiori a met`a delle cosce e delle gambe, sbattendo violentemente contro di queste un cilindretto di sughero, con dimensioni tali da essere contenuto in una mano, nel quale sono infilati 13 pezzi di vetro appuntiti e fissati al sughero, in modo da formare una croce, con cera fusa, dalla cui superficie sporgono circa 3÷ 4 mm: un rito medioevale, che ancora permane ai nostri tempi nel mio paese.
Ma è solo della Statua che voglio parlare in questa nota.

Il motivo di questa decisione è dovuto alla Sua bellezza e armonia, per cui ho sempre osato affermare che la nostra Pietà è più bella di quella di Michelangelo, aggiungendo però che tra le due c’è una piccola (diciamo pure: piccola!) differenza: quella di Michelangelo è di marmo, mentre la nostra è di legno!

La Madonna `e seduta, ha l’arto superiore destro sollevato fino all’altezza del cuore con l’avambraccio piegato verso il corpo e la mano destra rivolta verso il corpo e appoggiata sul petto; il braccio sinistro pende quasi parallelamente al corpo mentre il relativo avambraccio, disposto perpendicolarmente al braccio, è piegato verso la parte anteriore sinistra della Statua e il palmo della mano corrispondente, con le dita aperte, è rivolto verso chi guarda la Statua.

Lo sguardo rivolto verso il cielo, con riferimento al Cristo morto che fa parte della Statua, ha fatto affermare a Monsignore Luciano Leonardi, un sacerdote del Duomo di Pisa, al quale ho regalato una fotografia della Statua, la seguente frase: “Sembra che voglia dire, rivolgendosi al cielo, ma perchè tutto questo?”

Ho voluto riportare tale frase perchè, a mio avviso, essa esprime in modo completo quanto l’autore ha voluto trasmettere all’osservatore, in particolare con le due diverse posizioni degli arti superiori della Madonna.

Il corpo morto di Gesù, al contrario di quanto accade per la Pietà di Michelangelo, è seduto sul basamento sopra un lenzuolo bianco nella parte destra della Madonna (non di chi guarda) con le gambe intrecciate e rivolte verso lo stesso lato destro della Statua, in modo tale che la gamba destra di Gesù è un po’ sollevata e si appoggia sul basamento con il relativo tallone nella parte anteriore destra della Statua, sovrastando la gamba sinistra che e` tutta appoggiata sul basamento e piegata anch’essa verso il lato destro (sempre della Statua). Il corpo nudo di Gesù è circondato posteriormente dallo stesso lenzuolo bianco, i cui lembi sono ripiegati e marginalmente ricoprono la parte addominale del corpo. Questo è disposto verticalmente in modo da spingere contro le gambe della Madonna con il busto ruotato verso la parte destra della Statua; il braccio destro di Gesù sta penzoloni quasi parallelamente al suo corpo, mentre l’altro, verso il quale la testa di Gesù è piegata, avvolge la coscia destra della Madonna e pende dall’altra parte di questa.

A causa della particolare posizione della gamba destra della Madonna che è ruotata verso la sinistra della Statua, sembra che il corpo di Gesù, posto contro le gambe della Madonna, sia appoggiato sulla coscia sinistra di Lei; invece ad un attento osservatore non deve sfuggire il fatto che l’alluce del piede corrispondente, le cui dita soltanto si vedono spuntare dal vestito rosso della Madonna, si trova rivolto verso la parte sinistra della Statua per cui la gamba della Madonna, contro la quale il corpo di Gesù spinge, è quella destra.

L’arto inferiore sinistro della Madonna sembra scomparso; esso è invece mimetizzato, essendo nascosto sotto il vestito rosso e le pieghe del grande mantello blu che da sopra la testa della Madonna scende a coprire, avvolgere tutta la parte posteriore della Madonna e un po’ della parte laterale sinistra.

L’arto inferiore destro, per la spinta del corpo morto di Gesù, si trova in una posizione ruotata verso sinistra, difficile da mantenere per una persona viva; per contrastare tale azione l’altro arto, il sinistro, nascosto sotto la veste e le notevoli pieghe del mantello, è in una posizione più bassa dell’altro con il ginocchio poco al di sotto del ginocchio destro, in modo da stabilizzare la precaria posizione assunta dalla Madonna e, in particolare, dal suo arto destro.

Infatti il piede sinistro della Madonna, che spunta poco dal vestito nella parte laterale sinistra della Statua e ovviamente ha l’alluce rivolto verso la parte destra di questa, ha il calcagno sollevato da terra per cui detto piede poggia solo con le dita, le quali sono piegate rispetto al piede stesso per scaricare sul basamento l’azione premente su di esso.

Il lettore si chiederà il motivo di questa minuziosa descrizione. Se sono riuscito a fare tale descrizione in modo chiaro ed esaustivo, il lettore ha davanti a sè un quadro e, credo, si sarà già dato anche la risposta. Ma, se, contrariamente alle mie aspettative [6], non fossi riuscito a farlo, il lettore potrebbe venire a Nocera Terinese il Sabato Santo o, almeno, cercare su Internet il sito, per rendersi conto di quanto non sono stato capace di descrivere.

Come ha affermato un mio amico, grande medico e Professore Universitario, la Statua è particolarmente interessante per la precisione anatomica dei due corpi e le relative proporzioni.
Per me è bellissima ... e aggiungo perfetta anche da un punto di vista ingegneristico.

Due particolari elementi caratterizzano, a mio avviso, tale perfezione:

  • Uno di questi deriva dall’esame delle forze che due corpi, messi nella stessa configurazione della Statua, si scambierebbero; esse sono tali da far sorgere l’esigenza di contrastare l’azione premente del corpo posto nella parte destra della Statua.
    Per mettere in evidenza tale effetto è stato dato il particolare posizionamento della gamba sinistra della Madonna, che pertanto ha assunto le caratteristiche di un puntone; splendida la configurazione data al piede sinistro e alle sue dita per scaricare sul telaio le suddette sollecitazioni.
  • L’altro elemento, che, a mio avviso, determina una bellezza artistica straordinaria, è la plasticità (non nel senso della Fisica Matematica ma in quello che questa parola ha con riferimento ad opere d’arte) della scultura.
    La forma tridimensionale data al corpo di Gesù è particolarmente interessante: partendo dai piedi, si osservano due gambe intrecciate e piegate rispetto alle cosce; queste sono attaccate ad un corpo disposto verticalmente che va ruotando verso la parte destra della Statua man mano che si sale, percorrendo questo ipotetico percorso; tale percorso devia sul collo e la testa di Gesù, essendo questi piegati verso la parte sinistra; infine si vede il braccio sinistro che quasi abbraccia la parte sottostante della Statua.

In definitiva si ha una configurazione ottenuta con una flessione e una torsione del corpo di Gesù, situazione certamente difficile da realizzare per l’artefice (nell’ambito della Teoria dell’Elasticità la flessione e la torsione sono infatti due sollecitazioni particolarmente interessanti e delicate da trattare teoricamente).

Il corpo del Figlio, piegandosi, si torce e sembra che voglia avvolgersi come una specie di spirale attorno al corpo della Madre, per poter continuare, anche da morto, ad abbracciare quel corpo dal quale era stato partorito.

L’anonimo artista certamente non era laureato nè in Medicina nè tanto meno in Ingegneria; ma la sua opera è informata di entrambe queste professioni, per cui egli doveva avere sicuramente anche una profonda mentalità scientifica, tale da indurre noi ad affermare: “L’autore della Statua della Pietà, che si venera a Nocera Terinese, era veramente un grande artista e la sua opera è un capolavoro, da proteggere e conservare gelosamente per le future generazioni”.... ed io vorrei rivedere per tanti anni ancora la Statua della Pietà mentre sta per uscire dalla Chiesa dell’Annunziata e la banda musicale intona le prime note della struggente Marcia Funebre denominata in dialetto "a Jona" [essendo la celebre marcia funebre del IV atto dell’opera “Jone” di Errico Petrella (1813-1877)], quando la Primavera ha appena risvegliato le nostre terre e le mie rondinelle sono gi`a ritornate per intrecciare i loro voli di fronte ai balconi del terzo piano di casa mia in quel piccolo paese della Calabria ....

 

[4] In tale tragedia: Iliona, figlia di Priamo e sorella di Polidoro, divenuta moglie del re tracio Polimestore, scambiò il fratellino, a lei affidato, con il figlio Difilo, temendo che il fratellino venisse fatto uccidere dai greci. Pertanto, Polimestore, corrotto dai greci, uccise suo figlio Difilo invece di Polidoro. All’inizio della tragedia, Iliona, svegliandosi di soprassalto dal sogno, nel quale era apparsa l’ombra insanguinata del figlio Difilo per chiedere la sepoltura, gridava disperatamente la frase suddetta all’ombra che scompariva, mentre una musica particolarmente mesta, simile ad un grave lamento, generava una grande tristezza in tutti gli uditori, come afferma Marco Tullio Cicerone (106 a.C.-43 a.C.), che considerava Pacuvio il grande tragico di Roma (Tusc . I, 44, 106).
Notizie tratte dal mio libro scolastico “Disegno Storico della Letteratura Latina” di Concetto Marchesi, Quinta edizione riveduta, Casa Editrice Giuseppe Principato, Milano 1957.

[5] Dalla celebre romanza ‘Una furtiva lagrima’, con la sostituzione di suoi con miei, dell’opera lirica “L’elisir d’amore”, VII Scena, 2◦ Atto, di Domenico Gaetano Maria Donizetti (1797-1848). 

[6] ... a questo punto mi ritornano in mente le frasi che un grande scrittore, che mi ha affascinato negli anni della mia adolescenza, ha messo come chiusura di un suo celebre romanzo; esse sono state da me usate come chiusura delle mie lezioni inquest’ultimi anni accademici.
Infatti, mi sembra che, anche scrivendo questo libro, ho cercato di fare tante cose, mettendo particolari note e facendo tante considerazioni di vario tipo.
Certamente mi sono preoccupato innanzi tutto di rendere il libro il più comprensibile possibile, come si cerca di fare in un libro scientifico per studenti universitari. Ho, in particolare, tentato di indicare anche un metodo di studio, ormai del tutto sconosciuto per gli studenti di questi tempi. Ma in esso ho cercato di parlare anche di educazione, rispetto e amore, parlando di valori ormai perduti. Ho sempre detto ai miei studenti che la vita è fatta di piccole cose, ciascuna delle quali ci aiuta a proseguire il nostro cammino; quelle grandi ci piovono addosso anche contro la nostra volontà. Osservare e ammirare le meraviglie della Natura, guardando anche una semplice rosa mentre ci avvolge il suo profumo staccatosi dai suoi petali, la cui disposizione fa ricordare le spirali delle numerose galassie del misterioso Universo che ci circonda. Ed infine ho cercato di inculcare una passione verso le opere letterarie, la musica e, con questa nota conclusiva, anche verso le opere d’arte (ricordo ancora quel capitello corinzio, da me disegnato con tratteggi fatti con inchiostro di china, rimasto esposto nell’Aula Magna del Liceo Scientifico di Catanzaro fino a pochi anni fa, come un mio studente calabrese mi ha detto: esso sembrava che uscisse dal foglio su cui l’avevo disegnato!) ... troppe cose, per cui mi viene da pensare che forse mi sono soltanto illuso di aver fatto tutto ciò .... Pertanto, ecco l’inizio e la fine di uno dei meravigliosi libri di questo scrittore: “Io non sono stato mai bambino. Non ho avuto fanciullezza. ... Non chiedo pietà nè indulgenza, nè lodi nè consolazioni, ma soltanto tre o quattr’ore della vostra vita. E se dopo avermi ascoltato crederete lo stesso, a dispetto dei miei propositi, ch’io sia davvero un uomo finito dovrete almen confessare ch’io son finito perché volli incominciar troppe cose e che non son più nulla perché volli esser tutto.”
Da “Un uomo finito” di Giovanni Papini (1881-1956), Vallecchi Editore, Firenze 1974.

 

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 Il fascino del bianco e nero!
Foto particolarmente espressiva del 1955/56 che porto sempre con me
(fotografo: Alfredo Di Bartolo)

 

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 Appuntamento

 

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Processione

 

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Particolari interessanti

 

Le foto inserite in questo opuscolo sono ovviamente assenti nel libro scientifico scritto per studenti universitari.
La scelta di queste quattro foto è stata fortemente condizionata dalle mie considerazioni fatte sulla Statua della Pietà e dalle mie emozioni (in particolare, nella seconda e terza foto sono presenti due persone a me carissime: una signora, mia vicina di casa, ed un signore, che è sempre stato enormemente legato alla Statua, badando accuratamente per molti anni all’integrità di questa per le strade del paese).
Tali foto sono state fatte con il mio telefonino nella Pasqua del 2013.
Quella messa in copertina invece è stata fatta con grande maestria dal mio amico Alfredo, emigrato in Canada con tutta la sua famiglia (così cara alla mia) dopo qualche anno dalla data della foto; là certamente sarà diventato un grande fotografo!
Infatti l’angolatura, che Alfredo ha scelto per tale foto, è particolarmente interessante: essa è tale da fare risaltare tutta l’armoniosa plasticità della nostra splendida opera d’arte.
Di conseguenza, ho deciso di mettere sulla copertina questa foto, la cui inquadratura è da me ritenuta la migliore delle possibili inquadrature della nostra Statua.

 

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opuscolo Pieta GBAmendola

 Copertina dell'opuscolo

 

 


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