La processione della Madonna Addolorata e il rito dei “Vattienti” negli anni non sono rimasti sempre uguali nel loro svolgimento. Ci sono stati, infatti, vari cambiamenti, legati alle epoche. Lentamente molte piccole cose sono sparite e altre nuove sono venute.
Vediamo alcuni cambiamenti tra i più importanti.
- I “Fratelli” portantini percorrevano il lungo cammino della processione (serale e diurna) a piedi nudi. Incuranti di sassi, piccoli vetri, sterpi. Era un piccolo supplizio, specialmente per le salite.
- Nell’ordine del grande corteo, subito dopo la banda, spiccava, sia durante la processione serale che nella diurna, un lungo drappello di ragazzine attorno ai dieci anni.
Erano le cosiddette “Vurgineddre”, vestite di bianco, con l’abito della Prima Comunione, con l’aggiunta di una fascia nera a tracolla. Avevano il capo coperto da una stola di lino che cadeva sulle spalle e sulla quale era adagiata una leggera corona di spine. Tenevano in mano una piccola pietra con la quale si percuotevano il petto. Erano l’immagine dell’anima senza peccato, in lutto per la morte di Gesù. - Durante la processione serale della Madonna Addolorata, ai piedi della statua, non mancava mai un gruppo di uomini, più o meno una decina, che durante il percorso cantava a squarciagola. Erano atteggiamenti alquanto estemporanei e si cantava, infatti, senza alcuna armonia o equilibrio musicale. Qualcuno era anche ebbro. Un gruppo ogni volta improvvisato, formato da soli maschi, un’altra dimostrazione dell’aria di festa che si è sempre respirata durante la processione, ben lontana, se si escludono i casi personali di sofferenza di qualcuno, dalla riflessione religiosa che il momento imporrebbe.
Quanta foga, in “Sipurcu miu jurutu, Gesù Cristu c’è spunutu...”, dagli accenti ritmici molto marcati.
Quanto sottile pentimento, seppur di un minuto soltanto, in “Sono stato, io l’ingrato, Gesù mio, perdon pietà...”, dalle note placide e dimesse. - Conclusa la processione serale, per molti fedeli, donne, uomini, giovani e anche bambini, iniziava un’altra vera e propria funzione: “‘u giru di sipurchi ”, ossia la visita, in corteo, di tutti i sepolcri disseminati per il paese.
I “sipurchi”, come dice il nome, rappresentavano il Santo Sepolcro. Erano una sorta di altari in legno, creati servendosi di un semplice tavolino o di qualche tavolaccio. Spiccavano un grande Crocifisso, immagini sacre e, soprattutto, tanti fiori e i classici “piatti”. Ce n’erano moltissimi, di “sipurchi” edificati dai fedeli, in ogni via, davanti alle chiese, davanti ad abitazioni private.
Dal gruppo di persone, mentre ci si recava in visita, si alzavano canti e preghiere. Il percorso seguiva le tappe tipiche della processione diurna. Dalla chiesetta dell’Annunziata dove la Madonna era rientrata, si scendeva in piazza, poi al rione Motta, si risaliva per attraversare Via Santa Caterina, ci si dirigeva al Convento dei Cappuccini, poi s’imboccava la lunga discesa che, dopo aver attraversato il rione San Francesco, portava a valle, si passava per Via Canale e poi si ritornava davanti all’Annunziata. In molti vicoli e stradine non c’era nessun tipo di illuminazione e ci si muoveva al buio o alla luce di torce. “‘U giru” finiva che ormai il paese era penetrato dai primi chiarori dell’alba.
Giusto il tempo per fare un breve salto ognuno alle proprie case prima di ritrovarsi tutti per la processione del mattino e rimettersi in cammino.
C’era molta stanchezza, in tanti, per la nottata trascorsa. Ma non c’era nella gente desiderio di riposo ma solo la predisposizione mentale a una nuova fatica.
Specialmente tra i “Fratelli” portantini che avevano fatto “‘u giru”. Sapevano che non avrebbero potuto commettere errori dovuti alla stanchezza durante la processione diurna della Madonna Addolorata. Si avvertiva nell’aria una sorta di senso stoico.
Sopravvivrà il detto di questi tempi, sempre pronunciato alla fine della processione diurna, con riferimento a Gesù: “chjanu chjanu l’amu sagliutu, chjanu chjanu l’amu trasutu”. Che vuol dire, “pian piano l’abbiamo salito (ossia, “portato alla sommità della collina”), pian piano l’abbiamo entrato (ossia, “riportato in chiesa”)”. - Durante la processione diurna, nelle soste, molta gente offriva da bere ai ”Fratelli” una grande quantità di liquore. Le fermate erano moltissime, in genere a meno di cinquanta metri l’una dall’altra, in quanto erano tanti i fedeli che preparavano un “tavolino” davanti alla propria dimora per farvi poggiare la statua.
Il liquore era offerto in gran quantità. In genere si trattava di anice, dal profumo inconfondibile. Quello che non veniva consumato, si raccoglieva in un enorme fiasco capiente una quindicina di litri.
Era il cosiddetto “buttigliune”. Serviva per evitare che i “Fratelli”, bevendo a ogni sosta, incappassero in qualche sorso di troppo con effetti facilmente immaginabili in un percorso della processione come sempre molto lungo e denso di insidie.
Meglio raccogliere che bere, si pensava. Il liquore raccolto i “Fratelli” se lo dividevano poi alla fine della giornata. Anche se, quel che ne veniva fuori, non era più un liquore riconoscibile ma una miscela di gusti e aromi vari. - Tra i “Vattienti”, qualcuno espletava il rito con il viso coperto da un velo nero. La gente non riusciva a riconoscerli.
Altri ”Vattienti” uscivano in gruppi di due, tre, quattro, seguiti da un solo ”Acciomu”. - Dopo la processione diurna, rientrata la statua, le celebrazioni non erano ancora finite. Molte donne e molti uomini, quasi immediatamente, entravano in chiesa al seguito della Madonna e del sacerdote. Si celebrava un’altra funzione, “ ’E tri ure d’agonia”. Come dice il nome, per ricordare le tre ore di agonia di Gesù sulla Croce.
Nel pomeriggio, così, lentamente sfumavano i momenti della Morte.
Fatta sera, e poi notte, s’iniziava ad aspettare la Pasqua. Il nuovo appuntamento era nella Chiesa di San Giovanni Battista. Là si celebrava la messa notturna della Resurrezione. Partecipavano moltissimi fedeli. La chiesa era sempre molto affollata. Anche per quello che sarebbe successo alla mezzanotte, quando le campane avrebbero suonato la “Gloria” per annunciare il Cristo risorto.
In quel frangente, infatti, molti uomini, giovani e anziani, tra i quali tanti che non frequentavano la chiesa nel resto dell’anno, giù per la navata davano vita a chiassose forme di esultanza. Sollevavano i banchi per poi farli cadere fragorosamente a terra, battevano sugli stessi con bastoni e pezzi di ferro portati alla bisogna, urlavano e gridavano. Il tutto senza controllo e senza limiti. E, soprattutto, senza il permesso del sacerdote che, ogni volta, convocava i Carabinieri, presenti sin dall’inizio della Messa, al fine di evitare queste baldorie.
Ma non c’era niente da fare, il maresciallo dava ordini, bonariamente cercava di bloccare qualcuno di quegli uomini, minacciava ma senza risultati.
Con questi comportamenti, alcune volte, si arrecarono alla chiesa anche dei danni.
Qualche banco rotto o, cosa ben più grave, danni alle acquasantiere, guai che sarebbero poi restati ben visibili negli anni seguenti.
Un’esultanza particolarmente inconsueta fu quella dell’anno in cui in paese comparvero per la prima volta le bombole a gas. Molti giovani, la sera della messa, raccolsero un grande quantitativo di bombole vuote, portandole via da un deposito locale. Poi, quando le campane suonarono la “Gloria” tanto attesa, così come ricordano le persone più anziane del paese, “l’arrivulavanu da discesa da jiazza, ‘a Motta ‘e ‘ppenninu. ‘E bombole ruddravanu, ‘e ‘ru fragasciu ti ‘nzurdave”.
Ossia: “Le lanciavano dalla lunga ripida discesa che dalla piazza porta al rione Motta, le bombole rotolavano giù e facevano un fracasso assordante…”
Le cose sopra descritte svanirono un po’ alla volta con le prime trasformazioni culturali ed economiche della comunità.
- I “Fratelli” portantini che portavano la Madonna a piedi scalzi sparirono verso la prima metà degli Anni “60. Lentamente, uno alla volta, considerato il fondo accidentato di molti tratti del percorso, i “Fratelli” iniziarono a camminare non più scalzi.
- Le cosiddette “Vurgineddre” sparirono nei primi Anni “60.
- L’usanza, da parte di alcuni uomini, di radunarsi in gruppetto ai piedi della statua durante la processione serale per cantare a squarciagola sparì a metà degli Anni “70.
- Il cosiddetto “ giru di sipurchi ” sparì a metà degli Anni “60.
- L’usanza di raccogliere in un enorme fiasco, il cosiddetto “buttigliune”, i liquori offerti ai “Fratelli” scomparve a metà degli Anni “60, dal momento in cui si ridussero le soste, mantenendo solo quelle effettivamente utili per un giusto riposo.
E anche perché era sempre in forte diminuzione il liquore offerto.
Tra l’altro, con le mutate condizioni economiche, l’offerta non aveva più il valore degli anni precedenti, quando portarsi a casa del liquore, costituiva pur sempre la risoluzione di un problema, visti i tempi di penuria. - L’usanza tra qualche “Vattiente” di espletare il rito con il viso coperto da un velo nero sparì negli Anni 50”.
Essa fu abolita perché il “Vattente”, non avendo durante la sua corsa una visuale molto chiara, poteva recare disturbo a qualche compaesano, magari urtandolo involontariamente “sporcandolo” così di sangue. Il compaesano, tra l’altro, non riconoscendolo, avrebbe potuto sostenere che il ”Vattente” l’avesse fatto apposta, magari per un capriccio o un’inimicizia personale. In verità, fino a quel periodo, alcuni ”Vattienti” particolarmente “dispettosi”, in qualche occasione avevano realmente imbrattato qualche amico per scherzo o qualche nemico personale per scherno.
I ”Vattienti” che uscivano in gruppi di due, tre, quattro, seguiti da un solo ”Acciomu”, abbandonarono questa pratica negli Anni “50.
Oggi, così, ”Vattienti”, eccetto qualche rara eccezione, non si “battono” più in gruppetti. Questa scelta fu dovuta, probabilmente, al fatto che lo stare in gruppo poteva recare disturbo a ogni singolo ”Vattente”, facendogli perdere concentrazione e freddezza nel battersi. Questa constatazione portò all’esigenza di battersi ognuno per proprio conto e ognuno con un proprio “Acciomu”. - L’usanza di fare baldoria alla “Gloria”, le cui origini, come abbiamo visto, erano antichissime e che a volte, come detto, richiamava in chiesa persone ben lontane dalla vita realmente religiosa, è continuata fino a metà degli Anni “60, quando, finalmente, per le continue pressioni del sacerdote e l'atteggiamento minaccioso del Maresciallo dei Carabinieri, è stata poco alla volta estirpata.
Altre differenze tra ieri e oggi si riscontrano nei seguenti aspetti:
Fino agli Anni “40-50 si soleva “‘ncantare” la statua. Fare, cioè, una specie di asta per scegliere chi la dovesse portare. Chi faceva le offerte più alte, diventava portantino. Le offerte, in genere in grano e olio, andavano naturalmente a beneficio della chiesa. Per le famiglie di Nocera portare la Madonna era (ed è) un onore e un beneficio che non bisognava perdere. Si cercava di mantenerlo e di trasmetterlo ai figli, rinnovando anno dopo anno offerte sempre più sostanziose. Finiva, così, che portare la statua diveniva un fatto ereditario.
In certi periodi la Madonna Addolorata, dopo la processione serale, non faceva rientro alla Chiesa dell’Annunziata ma pernottava in quella di San Giovanni Battista, da dove, l’indomani, partiva per la processione diurna. Per questo pernottamento, fino alla Seconda Guerra Mondiale, la Chiesa dell’Annunziata pagava alla Chiesa di San Giovanni l’affitto, che consisteva nelle offerte raccolte durante la Predica di Passione.
L’eccezionalità della festa fino a poco tempo fa, e un po’ ancora oggi, si riscontrava anche nell’abbigliamento in uso durante la ricorrenza. Ci si vestiva con i migliori abiti, che a volte si compravano o, più spesso, si cucivano per l’occasione.
Il cambiamento più interessante, comunque, è abbastanza recente e consiste nel dato che il rito dei “Vattienti”, una volta pratica esclusiva del mondo operaio, artigiano e contadino, in questi ultimi venti anni si è diramato anche in classi borghesi, di impiegati e studenti. Ciò, ovviamente, rappresenta il sintomo di un nuovo senso di partecipazione nato nella gioventù del paese, che non si limita più solo a osservare il rito ma che desidera anche diventarne parte integrante.
Sicuramente un fenomeno denso di significati.
Tra gli avvenimenti del 1955, ce ne fu uno in particolare che ebbe grandi ripercussioni sulla vita di Nocera. Il 15 novembre di quell’anno furono emesse dal Vaticano importanti decisioni inerenti la riforma liturgica della Settimana Santa. Fu rimosso, definitivamente, l’ordine delle liturgie di quei sette giorni, con effetto esecutivo a partire dalla Settimana Santa del 1956.
Le nuove disposizioni nacquero dalla triste constatazione che durante la Settimana Santa molte chiese, ormai, rimanevano desolate e semivuote a causa degli orari lavorativi improvvisamente allungati per il crescere del ritmo della produzione industriale.
Le nuove normative ecclesiastiche, in pratica, intendevano creare orari e ordinamenti della liturgia che meglio si adattassero, nelle città come nei paesi, al nuovo regime di vita e addirittura anche ai nuovi spazi del “tempo libero”.
Anche la Calabria fu raggiunta dalle nuove regole.
A Nocera, però, le conseguenze si videro quando nel 1956 le disposizioni divennero esecutive.
Tratto da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" Vol. 4 - Dal dopoguerra 1915-18 al duemila di Adriano Macchione (Ma.Per. Editrice)