E’ cosa nota che a Nocera, durante la Settimana Santa, si svolge da secoli una bellissima serie di suggestive cerimonie che ricordano la Passione e la Morte di Gesù Cristo.
Si tratta di manifestazioni di origini antichissime che, tramandandosi da una generazione all'altra, si sono fortunatamente conservate fino ai nostri giorni, resistendo all'inesorabile passare di quel tempo che, vento impetuoso, tante altre belle e importanti cose ha cancellato, senza alcuna pietà.
Merita, senza dubbio, la Settimana Santa di Nocera di essere osservata minuziosamente giorno per giorno, in tutti i suoi molteplici aspetti.
La Settimana Santa inizia naturalmente la Domenica delle Palme. E' un giorno di gran festa: le strade sono tutte un brulicare di gente che affluisce, come poche altre volte nel corso dell'anno, nella Chiesa di San Giovanni Battista. In molti arrivano puntualmente anche dalle varie contrade. Tutti recano in mano, in fasci grandi e piccoli, palme, ramoscelli d’ulivo e di lauro.
Fra tutti spicca la "parmavera": sono i teneri germogli all'interno delle palme, freschi e gialli perché ancora non presi dalla funzione clorofilliana.
Molto graziosi sono alcuni lavoretti artigianali ottenuti intrecciando con particolare maestria dei piccoli fili di palma. Ed ecco così delle crocette, dai vari intrecci, grandi quanto una coccarda e poi le "panareddre", panieri di due - tre centimetri.
Tra i bambini, molti recano in mano la tanto desiderata "cunocchia", una piccola costruzione fatta con listelli di canne e di forma sferica, grande quanto un pallone da gioco, dove sono attaccati dolci, caramelle, cioccolatini, piccole uova di Pasqua, denaro in cartamoneta, tutti regali ricevuti dai bimbi.
In chiesa, nella navata sempre più gremita, risuona il frusciare di rami e il vociare allegro della gente.
Poi i fedeli, dietro al sacerdote, in processione, attraversano Via Santa Caterina e la “Via Nova” e si dirigono verso il "Calvario", la piccola costruzione in cemento con sopra dipinte cinque croci, posta poco fuori dal paese.
Qui il sacerdote dall’alto di un muretto benedice i ramoscelli d’ulivo, di lauro, le palme, le "cunocchie". Tutti alzano al cielo quei rami, in cerca dell'acqua santa.
Dopo la benedizione, si torna in chiesa dove si celebra la Messa.
Molti dei piccoli fasci di ulivo, di lauro e di palme, saranno appesi, secondo un'antica usanza, sulle porte delle case e sui letti o riposti vicino alle foto dei defunti di famiglia.
Non mancherà la vecchina che userà una foglia di lauro, sminuzzata in tre pezzi, in una bevanda da dare a un bambino malato, cura tra le più antiche, cura ancora in uso...
Martedì Santo, nel pomeriggio, conclusa la liturgia delle Quarantore, durante la quale si espone il Sacramento, ha inizio nella Chiesa dell'Annunziata la funzione detta del "Cireneo".
Essa si articola su una lunga serie di preghiere che ricordano le sofferenze della Passione e della Morte di Cristo.
A Nocera, la funzione è una sorta di continuazione ideale di quella che si svolgeva nel XIV e XV secolo ai tempi delle Confraternite.
Le preghiere tipiche presentano parti predefinite declamate da due sacerdoti e dai fedeli, recitate in italiano, con alcune sezioni in latino.
Esse sono tratte da tre quaderni appartenenti a una congregazione detta "della Beata Vergine Annunciata", già esistente, per certo, nel 1777 ma, molto probabilmente, nata ancor prima di quella data. Anche i testi riportati sui tre quaderni, la cui stesura è ovviamente riconducibile almeno allo stesso anno, potrebbero appartenere a un periodo precedente, in quanto sembrano essere la trascrizione di uno scritto più antico.
Al termine della funzione del “Cireneo”, si espone sui gradini dell'altare una grande Croce (di tavole colorate di nero) sulla quale sono dipinti il volto di Cristo e immagini che ricordano momenti della Passione, la corona di spine, la scritta INRI, i chiodi, le lance, la scala usata per toglierLo dalla croce, la tunica, i dadi.
Poi, tutto si conclude con una breve processione, quando è già sera, dalla Chiesa dell'Annunziata a quella di S. Giovanni Battista dove si repone il Sacramento.
Mercoledì Santo, al mattino, nella Chiesa dell'Annunziata, si espone la statua della Madonna Addolorata, da un anno (dall'ultimo Sabato Santo) racchiusa in una nicchia velata in alto sopra l'altare. La scultura è colorata e raffigura Maria, sguardo al cielo, che ha sulle ginocchia il Figlio appena schiodato dalla Croce. Dal punto di vista artistico, quindi, non è un’Addolorata ma più precisamente una Pietà.
La sua bellezza è struggente, anche per il visitatore che la vede per la prima volta.
Si tratta di un gruppo ligneo (in piraina, varietà del pero) risalente probabilmente al `600, di scuola napoletana. Così si è sempre detto ma, di recente, l’antropologa Ida Magli ha avanzato l’ipotesi che potrebbe risalire al 1200.
Il nome dello scultore è rimasto nei secoli sconosciuto.
Un'antica leggenda, protrattasi da generazione in generazione, narra che a scolpirla fu un pastorello. a opera conclusa, dinanzi alla sublime espressività della Madonna, il pastorello, in un moto di pena, disse: «Cumu t'haiu fatto pietusa, Madonna mia». E la Madonna rispose: «E si daveru mi vidie, cchiù pietusa mi facie».
Al giovane scultore, dinanzi al miracolo di quelle parole, non resistette il cuore. Divenne cieco. <<Ppemmu `u nne facie n'atra `a stessa», ossia “affinché non facesse un’altra Madonna eguale”, così come si racconta ancora oggi attorno ai bracieri delle vecchine.
Tolta dalla sua nicchia, la Madonna è posta ai piedi dell'altare al centro di una rudimentale composizione in legno detta “Sipurcu” (Sepolcro), interamente coperta e circondata da fiori e dai cosiddetti "piatti".I “piatti” sono dei contenitori tondi o rettangolari della grandezza appunto di un piatto o di un vassoietto (spesso sempre gli stessi, in quanto conservati di anno in anno) dove sono spuntati degli strani "fiori": piante di grano, ceci, lenticchie, orzo, tutti fatti germogliare al buio per venti o trenta giorni.
Come? Le donne in casa, sin dal primo venerdì di Quaresima, riempiono il contenitore di un particolare terreno, formato da sabbia o terriccio, stoppa o normale cotone di uso domestico. Poi seminano il legume o il cereale prescelto, in genere grano, ma anche, come detto, ceci, lenticchie e orzo. Il tutto viene innaffiato quasi fino all’orlo del piccolo contenitore e riposto in luogo buio, in genere sotto una “quadara”, ossia una grossa pentola dove la semina rimarrà per parecchi giorni, durante i quali sarà ulteriormente innaffiata per essere mantenuta umida. I germogli, così, non potendo assolvere alla fotosintesi clorofilliana, cresceranno di un pallido colore giallino.
Sin dal momento dell'esposizione della Madonna, tutti i noceresi, di ogni ceto, uomini e donne, giovani e anziani, si recano a visitarla.
E' un "via vai" senza sosta verso la chiesa. C'è chi si ferma un solo momento, chi resta più tempo, chi rimane tutto il giorno ("fa 'a jurnata ara Madonna", si dice).
In molti portano altri “piatti”, mazzi di fiori, olio, regali in oro.
Il silenzio, in chiesa, è assoluto.
Poi, ogni tanto, si sente un vociare sommesso, la recita del Rosario.
Altre volte si alzano i canti in dialetto nocerese, alcuni dei quali ben scolpiti nella memoria di molti. Antiche laudi, nenie tristi, che ricordano la Passione e la Morte di Gesù. La più conosciuta (e amata dai noceresi) è "Ciancia ciancia Maria" ("Piangi piangi Maria").Non si conosce con esattezza l'epoca in cui questi canti furono composti. Non si sa, inoltre, se l’autore o gli autori fossero del paese oppure del circondario, o se questi canti, in principio, arrivassero da altre regioni e in seguito furono fatti propri dai fedeli noceresi. Lo stile testuale riporta alle analoghe laude dei verseggiatori dell’Italia Centrale del XIII e XIV secolo, seguaci di Iacopone da Todi, ed è proprio da quella fonte si pensa che essi discendano. Anche se, per la forma molto complessa e per problemi metrici, le laude di Iacopone, circa novanta, secondo gli studiosi hanno ben poco di “popolare”. Anzi, sono da considerare un grande esempio di letteratura colta. All'apparenza, quindi, non sembra esserci alcun rapporto diretto con i canti noceresi. Ma non si trascura, però, che il frate annoverò nel campo della poesia molti seguaci che, pur non raggiungendo il suo livello artistico, ne riproposero in vario modo l'opera. Il capolavoro di Iacopone è “Il pianto della Madonna”, di grande presa per lo straripante amore che lo pervade e per la lineare semplicità metrica che, cosa insolita nella sua arte di comporre, ne permea in questo caso la poesia. Sarebbe molto interessante passare in analisi i novanta componimenti per vedere se, in alcune parti, nonostante la loro intrinseca complessità metrica, qualcuno di essi potrebbe ricondurre ai canti noceresi, opera chissà se di un poeta o frate seguace. Per il momento, c’è da osservare la somiglianza, almeno nel titolo, tra “Il pianto della Madonna” di Iacopone e il “Ciancia ciancia Maria” di Nocera.
Altre laudi che si cantano in paese durante i riti della Settimana Santa sono “Ben truvatu lignu siccu”, “Oje è Vennere Santu”, “ ‘A morte de Gesù”, “ ‘U liogiu du Segnure”, “Oh fieri flagelli”, “Ai tuoi piedi”, “A Maria Addolorata”, “L’agonia di Gesù”. Tra queste, le ultime tre sono le sole in lingua italiana, tutte le altre sono in dialetto locale.
Dopo l'esposizione della Madonna, le visite alla Chiesa dell'Annunziata continuano per tutta la giornata di mercoledì e giovedì.
Giovedì sera, poi, giunge un altro momento di grande partecipazione. Nella Chiesa di San Giovanni Battista, si svolge, per ricordare l'Ultima Cena, la sempre molto seguita "Messa della Cena" ("Missa in Coena Domini "). Nel corso della funzione, si procede alla tanto attesa lavanda dei piedi.
La "Messa della Cena" a Nocera e in molti altri centri dell'Italia meridionale si è sempre svolta nei secoli senza interruzione alcuna, anche nel lungo periodo in cui era stata abolita per decisione di papa Pio IX. Il ripristino, poi, giunse nel 1959 per volere di papa Giovanni XXIII, che, tra l'altro, nell'occasione compì egli stesso l'umile atto della lavanda e del bacio dei piedi, scatenando per tale gesto, grande clamore e l'attenzione di molti organi d'informazione.
A Nocera, la sera della "Messa della Cena", davanti all'Altare Maggiore, siedono su delle panche dodici uomini delle più svariate età. Rappresentano i dodici Apostoli e proprio così sono detti dalla gente. Portano un lungo camice bianco, cinto alla vita da un cordone rosso oppure azzurro. Sul capo mettono una corona di "sparacogna" un'erba spinosa che cresce nelle zone poco esposte al sole. L'abbigliamento degli “Apostoli” è uguale a quello dei "Fratelli" portantini della Madonna Addolorata nelle processioni del Venerdì Santo sera e del Sabato Santo.
Al termine dell'omelia, il sacerdote procede alla lavanda dei piedi. Con brocca e asciugamano, così come fece Gesù, s'inchina davanti a ogni singolo “Apostolo” e, dopo aver versato un po' d'acqua e averla asciugata, bacia il piede appena "lavato".
E' questo, come detto, il momento più atteso e seguito della messa. Molta della gente presente si accalca per vedere il momento del bacio. Soprattutto perché in questo frangente non mancano sfumature un po' spettacolari e anche comiche, dovute al fatto che un personaggio di grande rilievo come il sacerdote del paese si ritrova a compiere, per cerimoniale, un atto di sottomissione nei confronti di qualche altro personaggio locale di scarso spessore sociale e culturale. Una volta, a metà degli Anni "80, il sacerdote fu costretto a proibire l'uso di attrezzature fotografiche durante la funzione, per la grande ressa che si creava al momento della lavanda dei piedi e dei baci. In tanti si accalcavano per riprendere la scena, non mantenendo più un comportamento improntato alla massima compostezza, così come in chiesa sarebbe doveroso in qualsiasi circostanza.
Dopo la Comunione dei fedeli, nella navata si svolge poi una breve processione per reporre l'Ostia Consacrata sull'Altare della Reposizione ubicato nella Cappella del Sacramento.
Nella chiesa, in quel momento, si alza secco l'accompagnamento del "crotalo", in dialetto nocerese "trocca" o "trocolla", che sostituisce il suono delle campane tenute silenziose in segno di lutto.
Questo arnese, è una tavoletta di legno rettangolare, grande una trentina di centimetri e che s'impugna da una apposita fessura. Sulla tavoletta, è apposto un ferro sagomato, più esattamente una maniglia. Agitata, il ferro sbatte sul legno e produce il tipico rumore, familiare, tradizionale, amato.
Al termine della Messa, in sacrestia, il sacerdote regala agli Apostoli i "tortani", pani benedetti a forma di grandi ciambelle.
Quando a Nocera vi erano più parroci e più parrocchie, il pane era offerto da quest'ultime a turno. Era uso, inoltre, offrirlo anche alle varie autorità locali, insieme a dolci e liquori.
Conclusa la messa, si asportano dagli altari i paramenti sacri e si coprono con stole viola, in segno di lutto, le immagini raffiguranti il Crocifisso.Fuori dalla chiesa, poi, la gente si sofferma a parlare. Con gli “Apostoli” che spezzano un po' del pane benedetto e lo regalano di spontanea volontà a qualche amico o parente o a chi ne chiede un piccolo pezzo.
Venerdì Santo, nel pomeriggio si svolge la solenne liturgia dell'Adorazione della Croce.
E' annunciata col suono della "trocca", la stessa usata durante le funzioni della Cena del giovedì sera.
La “trocca”, venerdì pomeriggio, percorre le vie principali del paese e anche molte strade secondarie, agitata da entusiasti e chiassosi bambini vestiti da chierichetti.
La sera, poi, verso le ore 20, si svolge l'attesa processione della Madonna Addolorata, condotta dalla Chiesa dell'Annunziata a quella di San Giovanni Battista. La distanza è di poco più di duecento metri. Il primo tratto è pianeggiante, poi c’è la curva da dove inizia la breve discesa che porta in piazza. Per percorrere il tragitto s’impiega circa un’ora e mezza.
Quando si apre la pesante porta di legno della chiesa, è lì che, come ogni volta, tutti volgono lo sguardo.Esce per primo un "Fratello". E’ vestito come gli altri “Fratelli” portantini che subito dopo appariranno sul davanzale della chiesa. Regge alta con le mani una grande Croce nera, la stessa della liturgia del “Cireneo”, dove, nel punto in cui dovrebbe poggiarsi la testa, e sul quale è riprodotto un dipinto raffigurante il volto del Cristo, è adagiata una corona di “sparacogna”. Questa pesante Croce precederà per tutto il tragitto la processione, lontano dalla Madonna che non dovrà mai "vederla".
Subito dopo, ecco un fedele in abiti civili che indossa una mozzetta azzurrina e sul capo anch’egli una lieve corona di “sparacogna”. Porta un Crocefisso più piccolo, rovinato dal tempo, su cui è poggiata un’altra corona spinosa.
All'apparire di queste due croci, si capisce che ormai tutto è pronto per l'inizio della processione e che sta per apparire sulla soglia della chiesa anche la Madonna. Tutti gli occhi sono puntati lì, in attesa di quella figura ben nota.
Ed eccola che lentamente spunta fuori dalla chiesa al suono della "Jone" del Petrelli, una marcia funebre, triste, greve, sferzante.
I “Fratelli” indossano un abbigliamento uguale a quello degli "Apostoli" della Cena del giovedì sera, un lungo camice bianco, alla vita un cordone rosso o azzurro, in testa una corona di “sparacogna”. Sono 24, divisi in tre squadre di 8 che portano a turno. In più, ci sono due guide (una davanti e uno alle spalle della statua) e qualche riserva.
L'ordine della processione vede davanti a tutti la grande Croce nera, poi la banda, il Crocefisso più piccolo, il sacerdote, la statua, dietro uno stuolo di fedeli, soprattutto donne, che cantano le laudi tipiche.
Moltissime sono le persone che aspettano il passaggio della Madonna ai bordi della strada o ai balconi e alle finestre. Tutto è molto suggestivo e procede con piacevole lentezza. Alle finestre ceri, candele e lampade, luci di ogni genere, illuminano il cammino.La processione è iniziata da pochi minuti quando si fa largo in mezzo alla folla il primo dei “Vattienti” che si “batteranno” venerdì sera e il sabato. Per lungo tempo il rito dei “Vattienti” si è svolto solo di sabato. Poi, negli Anni “80, qualcuno di loro preferì “battersi” il venerdì sera, anziché il sabato mattina. Dapprima uno solo, poi via via due, poi sempre di più, fino a quando, oggi, già il venerdì sera si possono contare una ventina di “Vattienti”che eseguono il rito (in confronto a quanti si “battono” di sabato, comunque, il numero resta notevolmente inferiore, in quanto il giorno successivo saranno quasi un centinaio).
I “Vattienti” non sono una congrega organizzata, né sono uniformati in eguali connotazioni ideologiche. Tanto che non hanno, né hanno avuto, eguali pensieri sulla fede, sulla Chiesa, sui partiti, sulle ideologie politiche.
Una differenza basilare tra chi si “batte” il venerdì sera e chi il sabato, consiste nel percorso. Siccome la processione serale del venerdì dura notevolmente di meno rispetto a quella del sabato, anche il percorso dei “Vattienti” è inferiore. Si limita, infatti, solo ad alcune strade centrali e non raggiunge la sommità della collina come capita il sabato.
Ed eccoli dunque i primi “Vattienti” del venerdì sera: in testa un copricapo portato dalle donne noceresi in costume, chiamato "mannile", sul quale è adagiata una grossa corona di spine. Addosso un maglione in genere nero e un paio di pantaloni cortissimi. Le gambe (cosce e polpacci) sono tutte insanguinate perché flagellate sin dalla fase di preparazione al rito. Congiunto a lui da una sottile cordicella, lunga circa un metro e mezzo, c'è anche un ragazzo o un bambino che fa da "Acciomu", rappresenta cioè l'Ecce Homo. Anche egli a piedi nudi, indossa solo un panno rosso che lo copre dalle ascelle alle caviglie. In testa porta una corona di “spina santa” e in mano una croce ricoperta di stoffa rossa, lunga quasi un metro ma abbastanza sottile e quindi anche leggera.
Il “Vattente”, con le mani incrociate e che reggono il "cardo" e la "rosa" (gli strumenti della flagellazione), con al seguito l' “Acciomu”, avanza tra la folla che si apre al suo passaggio. Spesso è spavaldo e solo a volte tradisce un po' di fatica e sofferenza.
Giunti nei pressi della Madonna, il “Vattente” s'inginocchia ai suoi piedi in segno di saluto e di fede, poi si rialza e si percuote violentemente ancora una volta sulle cosce e sui polpacci con il "cardo".
Poi, s'inginocchia di nuovo, rifà il segno della croce e subito ricomincia la sua corsa.
C’è chi si “batte” per aver contratto un voto, chi per avere ricevuto una grazia, chi per continuare una tradizione in famiglia. Non manca, in alcuni casi, un pizzico di esibizionismo ma, alla base, come substrato psicologico, la devozione per la Madonna è sempre presente.
I "Vattienti", per la loro flagellazione, recano con sé, come detto, due strumenti, il "cardo" e la "rosa".Il "cardo" è un disco di sughero di dieci centimetri di diametro e tre di spessore, in cui sono infissi con cera, delle piccole scaglie di vetro dette "lanze", sporgenti non più di 2 centimetri, appuntite tutte allo stesso modo, onde evitare che la pelle del “Vattente” possa subire delle lacerazioni durante il rito. Le "lanze" sono in tutto tredici. Sono infisse nel “cardo” seguendone la sua forma circolare: una al centro, poi quattro e poi otto. Un tempo erano sette, quante le piaghe di Gesù, poi divennero dodici, quante gli Apostoli e Gesù, poi tredici, aggiungendone una per ricordare Giuda.
La "rosa", invece, è un normale disco di sughero della grandezza del “cardo”, ben levigato, sul cui bordo si crea una lieve scanalatura che serve per raccogliere e poi far cadere il sangue dalle gambe del “Vattente”, evitando che si coaguli sulla moltitudine di piccoli buchi prodotti dal “cardo”.
La preparazione di questi attrezzi, per l'animosità e la passione che la contraddistinguono, sembra essere anch'essa un vero e proprio rito. A costruirli ci pensano un falegname del paese (la categoria, però, è ormai quasi sparita sul finire dell'ultimo secolo) o alcuni "Vattienti" ben capaci di farlo che ne preparano non solo per se stessi ma anche per altri. Essi sono conservati di anno in anno, dopo essere stati disinfettati. Molto raro è il caso di “cardi” e “rose” dati in prestito. Ciò avviene, a volte, quando qualche nuovo praticante decide di “battersi” all’ultimo momento senza averlo deciso per tempo, e li chiede in prestito.
Ma come si prepara un “cardo”?
Si scelgono due pezzi di sughero e si sagomano le parti. Poi su uno di essi sono infisse a mano le scagliette di vetro. A questo punto si preparano due qualità di cere e si mischiano in un recipiente. Poi, dopo aver coperto il sughero con una formella di latta, si versa la cera mista, naturalmente ancora liquida, sulle scaglie che così si fissano al sughero, mentre quest’ultimo, protetto dalla formella, resta asciutto. Una volta che la cera si è solidificata, si procede, mediante una piccola tavoletta di legno, al livellamento dei pezzettini di vetro ormai infissi.
Anche la fase della preparazione al rito del “Vattente” presenta molti aspetti interessanti.
Assistervi, però, è consentito a poche persone. Con il “Vattente”, c’è il bambino o il ragazzo che gli farà da “Acciomu”, la persona che porterà la tanica del vino, qualche altro amico o familiare e, molto di rado, qualche fotografo, locale o forestiero, autorizzato ad assistere a questi preparativi. In genere, il “Vattente” non vuole attorno a sé sguardi di estranei. Così come di donne. Si potrebbe credere che ciò sia dovuto al fatto che dovrà spogliarsi degli abiti civili o che si tratta di momenti di alta tensione, le prime cardate, il primo sangue che sgorga, l’emozione che prende alla gola. La verità, però, è che la tradizione vuole così.
Per prima cosa il “Vattente” fa bollire in una grossa pentola, detta "quadara", un infuso ad alto valore medicamentoso a base di acqua e rosmarino che, spalmato prima e dopo del rito sulle gambe, non farà contrarre infezioni e restringerà immediatamente i buchi che saranno prodotti dal “cardo”.
Indossa poi il suo particolare abbigliamento: i pantaloni cortissimi, la maglia nera, un copricapo sul quale adagia la corona di spine.
Contemporaneamente si prepara anche colui che farà da "Acciomu". Indossa il panno rosso che lo coprirà dalle ascelle alle caviglie, si pone sulla testa la corona di “spina santa”, impugna la croce ricoperta di stoffa rossa.
Quando "Vattente" e "Acciomu" sono pronti, si congiungono l'uno all'altro con una sottile cordicella, della misura di un metro e mezzo. La corda che li unisce, oggi, significa che l’uomo, pentito per la flagellazione a cui è stato sottoposto Gesù, si flagella egli stesso per patire le stesse sofferenze.
Quindi il “Vattente” lava le cosce e le gambe con l'infuso precedentemente preparato e picchietta, prima piano poi sempre più forte, sulle parti destinate alla flagellazione, fino a che non le vede arrossate. A quel punto incomincia a “battersi” con la “rosa” per fare affluire ancora più sangue. Poi, si picchia con il “cardo”. Le "lanze" penetrano nella carne e il sangue schizza abbondante. Poi insanguina la “rosa” e lascia l'impronta del suo sangue sul petto e sulle spalle dell’ “Acciomu”.
Il “Vattente” è ormai pronto, così, per uscire in strada. Si “batte” prima davanti alla propria abitazione, in segno augurale, e poi corre via inseguito da un gruppo di persone. Si “batte” diverse volte, davanti alle case degli amici, dei parenti, davanti alle chiese, ma il momento più suggestivo è quando egli si flagella davanti alla statua della Madonna Addolorata. Come detto, quando la scorge da lontano, aumenta d'istinto l’andatura della sua corsa, la folla fa largo, poi è davanti alla Madonna, la bacia, si fa il segno della Croce, s’inginocchia, poi si rialza e si “batte” violentemente, s’inginocchia di nuovo, si rifà la Croce, il tempo di una foto ricordo e ricomincia la corsa.
Compiuto il percorso stabilito, il “Vattente” fa ritorno a casa, stanco, sfinito. Lava le ferite con il solito infuso di rosmarino, asciuga le gambe, si rimette in abiti civili, si rifocilla brevemente. Restano piccole cicatrici che si rimargineranno in pochi giorni.
Quando tutto è finito, il gruppo, sereno, raggiunge la processione. Il “Vattente”, anch’egli, si immerge nella folla dei fedeli. Stavolta anonimo figurante. Si sente diverso, più buono, purificato, come scrollatosi di una lunga e snervante ansia.
Venerdì sera, uscita la Madonna dall'Annunziata e visti all'opera i primi “Vattienti”, la processione prosegue poi verso la Chiesa di San Giovanni, dove i fedeli prendono posto nella navata, chi seduto, chi in piedi. La Madonna, invece, si fa entrare solo nell’atrio, dove è collocata su un tavolo, dietro una porta tenuta volutamente chiusa, per nasconderla alla vista dall’interno. Dalla piazza, dove restano in attesa della ripresa della processione molte altre persone che chiacchierano di tutto, la si vede di spalle.
Nella chiesa, a quel punto, inizia la predica di Passione affidata per tradizione a un predicatore forestiero che commenta le stazioni della Via Crucis mostrando statuette che ne raffigurano i momenti più rilevanti. La cerimonia dura un’ora e mezza circa.
Poi, ecco il momento culminante della serata: il predicatore con voce possente ma anche commossa “chiama” nella navata la Madonna, rimasta in attesa al di là del portone: <<Vieni, Maria...>>, grida con impeto. Allora si apre il vecchio portale dietro al quale era stata adagiata la statua. E si porta la Madonna in breve processione “dentro” la chiesa, tutta illuminata. La banda, che nel frattempo era entrata in silenzio e ordinata, intona le note di “Ai tuoi piedi”. La triste musica risuona particolarmente amplificata nel chiuso della chiesa, che funge da maestosa cassa armonica.
Conclusa la visita della Madonna nella Chiesa di San Giovanni, riprende poi la processione che riporta la statua nella Chiesa dell’Annunziata.
Il tragitto del ritorno è leggermente più lungo, ma stavolta si va con passo più spedito e per coprirlo s’impiega solo mezzora. Infatti, ormai è mezzanotte e l'indomani è prevista la più lunga e dura processione diurna.
Nonostante l'ora, però, non esiste sonno o stanchezza tra la gente. Poi, quando la Madonna è ormai rientrata, tutti fanno ritorno alle proprie dimore. Ormai il pensiero è per il giorno dopo.
Ed ecco finalmente il Sabato Santo.
E' il giorno della Madonna Addolorata, la processione sarà più lunga, percorrerà tutte le strade e le vie del paese. Ma è anche il giorno dei "Vattienti", se ne vedranno in gran numero (poco meno di cento, negli ultimi anni). Insomma, uno "spettacolo" ben diverso da quello del Venerdì sera, che, in pratica, è stata quasi un'anteprima.
I fedeli e i visitatori affluiscono in paese a migliaia. Giungono dalla "montagna", dalle campagne, dalla Marina. Aumenta anche il numero dei visitatori forestieri e dei fotografi.
Le macchine e qualche pullman in sosta si sgranano per un chilometro oltre le prime case del paese.
La processione inizia verso le otto e mezza del mattino e si presenta in un ordine simile a quello della sera precedente. Precede la statua il "Fratello" che porta la pesante Croce nera e che durante la processione, per lungo tempo, dovrà essere nascosta alla vista della Madonna. Segue il fedele col Crocefisso piccolo e infine la Madonna sorretta dai "Fratelli", seguita da un'enorme folla di fedeli tra la quale c'è chi canta e chi prega.
La processione percorre tutte le strade e le vie del paese. Dalla Chiesa dell'Annunziata la prima meta è la Chiesa di San Giovanni. Il primo”Vattente” s’intravede tra la folla che la processione è uscita da un’ora. E con la Madonna che avrà percorso, sì e no, cento metri, e non è ancora giunta in Piazza San Giovanni.
Quando la Madonna è giunta in piazza, e sono passate, come la sera prima, un paio d’ore per fare il breve tragitto dalla Chiesa dell’Annunziata a quella di San Giovanni, i “Vattienti” aumentano di numero e s’inizia a vederne sempre di più.
Poi la processione scende verso l'antico Rione Motta, quindi risale e percorre tutta Via Santa Caterina e la “Via Nova” fino alle ultime case del paese e al “Calvario”. Il “Calvario”, alla base, è tutto inondato di sangue. Sono passati già molti “Vattienti” e lì si sono “battuti”, secondo tradizione. Vicino alle croci del “Calvario”, in alto, l’impronta della “rosata”, il piccolo cerchio di sangue gocciolante.
Ormai si è quasi verso mezzogiorno, altre ore sono passate, in paese, ormai, un po’ alla volta, si è riversata una immensa folla, la grande giornata è nel pieno del suo svolgimento, la strada principale è tutta un brulicare di gente. Sul viale, però, nel mare di folla, si scorge sempre nitida e fulgida la figura della Madonna. E le croci degli “Acciomi” ormai tante, rosse e alte sulla gente, in movimento tra la gente per la corsa del “Vattente” e dell’ “Acciomu”.
Dal “Calvario”, la processione fa il cammino contrario, riattraversa la “Via Nova” e Via Santa Caterina. Qui, all'altezza della "Vota Ventura", devia verso il vecchio Convento dei Cappuccini posto in alto sulla collina alla quale si aggrappano le case di Nocera. Le donne, a quel punto, cominciano la recita del Rosario che, intercalato dai canti in dialetto, durerà per tutta la fase centrale della processione.
Inizia la parte più dura della giornata perché il percorso sarà tutto in salita tra vicoli strettissimi. Una strada faticosa per una normale persona, figurarsi per un portantino che deve sostenere la pesante statua o per un “Vattente” che la deve percorrere tutto insanguinato e dopo essersi già “battuto” varie volte.
Giunta la processione in cima alla collina, con grande sforzo dei "Fratelli", si osserva una breve sosta durante la quale i portantini si rifocillano all' interno del vecchio convento.Nel frattempo, arrivano altri “Vattienti”. Quelli che hanno scelto d’incontrare la Madonna quassù. Sono stanchi e ansimanti, quasi sfiniti per la lunga salita. La gente si avvicina, scattano flash, sgorga altro sangue.
Dopo la breve sosta ristoratrice al Convento, inizia la discesa verso il paese.
Dopo circa duecento metri, c’è però una fermata. Nei pressi di uno sperone di roccia, la Madonna è adagiata su un tavolino. Alle sue spalle, ecco comparire la grande Croce nera. Quella che non aveva mai visto. Dovrebbe simboleggiare che Maria giunge sul Golgota e lì scopre la Croce e il Figlio morto.
Poi la processione riprende verso la discesa.
A un certo punto, da anni quasi sempre allo stesso posto, sopraggiunge un gruppo molto folto di “Vattienti”. E’ un’intera famiglia che si "batte" tutta insieme, padre, figli, cognati, nipoti più un vecchio amico. Saranno una decina, in tutto. Anche gli “Acciomi” sono tutti parenti, i nipoti più piccoli.
Davanti alla Madonna, i colpi di “cardo” e di “rosa” risuonano insieme in modo nuovo e irripetibile, con una lunga serie di colpi confusi ma come miracolosamente ordinati in un ritmo solo.
Alla fine, rimane una chiazza di sangue enorme, la più grande di tutte.
Poi si prosegue nella discesa.
Durante il tragitto, la Madonna è portata davanti alle sbarre dell'ingresso di quelle che un giorno erano le carceri, prigioni mandamentali per reclusi di piccolo conto, e poi nella vicina Chiesa di San Francesco dove il sacerdote tiene una breve cerimonia di preghiera.
Quindi si ritorna per gli ultimi cento metri della discesa per poi sfociare nella strada principale che attraversa tutto il paese, là dove inizia Via Canale, che si percorre fino in fondo, là dove finisce il paese.
E’ qui che la processione si ferma per l’ultima sosta.
Nel frattempo passano gli ultimi “Vattienti”. Poi la processione ripercorre a ritroso Via Canale per dirigersi verso la Chiesa dell’Annunziata.
Dopo l’ultimo “Vattente”, arriva anche l’ultimo tratto della processione. Si passa davanti alla Caserma, dove i Carabinieri allineati sulla scalinata si mettono sull' "Attenti".
Dopo il "Riposo", scatta un applauso della gente verso l’Arma.
E' pomeriggio inoltrato, saranno le 14,30 o le 17, e tutto sta per finire. La Chiesa dell'Annunziata, dalla quale si era partiti la mattina, è ormai vicinissima, restano solo una decina di metri.
Quando la Madonna vi giunge, è adagiata su un tavolino, rivolta verso la chiesa. Da dove, sul davanzale, il sacerdote, tiene un'ultima predica di saluto. Una volta si usava far venire un predicatore forestiero, spesso un monaco. Dopo le parole di commiato, i “Fratelli” rialzano la Madonna dal tavolino mentre la banda intona la “Jone”. La musica rende più triste questo momento. In tanti non riescono a trattenere le lacrime. La Madonna si avvia verso il portone, dove sosta qualche altro minuto per farsi ancora guardare e pregare dalla sua gente mentre i “Fratelli” la sorreggono, in un ultimo sforzo, in uno spazio molto ristretto. Poi la Madonna entra, ben presto è di spalle e sparisce nel buio della chiesa. Un altro anno del calendario di Nocera è passato.
Tratto da "NOCERA TERINESE Storia e Storie" Vol. 1 - Dalle origini a tutto il 1400 di Adriano Macchione (Ma.Per. Editrice)